Tu BiShvat 5775 – Capodanno degli alberi Significati manifesti, significati nascosti
Le scadenze fiscali sono una delle ossessioni della società moderna; la nazione ebraica un po’ per esorcizzare un po’ per senso del dovere ci ha costruito sopra ben tre capi d’anno dei quattro previsti dalla mishnà. Il 15 di shevat era lo spartiacque che decideva se un frutto già gemmato andava computato all’anno fiscale precedente o a quello successivo.
Le implicazioni non erano di scarso rilievo, c’erano da considerare le decime, l’anno sabbatico, i frutti del quarto anno e quelli nati in precedenza che erano vietati. Insomma, un bel da fare per revisori dei conti e commercialisti che dovevano garantire i contribuenti dai serrati controlli dell’erario terrestre …e Celeste.
Come in altri casi, questa ricorrenza è stata caricata di altri significati. La lode della terra d’Israele. Ma anche il messaggio mistico nascosto, che ha condotto i cabalisti di Safed a comporre un formulario, ricco di passi dello zohar, con l’assaggio di frutti dai significati allegorici e la recitazione delle relative benedizioni. Da ultimo l’accento è stato posto sul richiamo della festa al valore di un rapporto consapevole con la natura e l’ambiente.
Voglio riflettere su alcuni contenuti della parasha’ di Beshallach che si legge sempre a ridosso di Tu BiShvat.
A ben vedere infatti, credo che vi si possano trovare riferimenti ai principi della festa da esaltare.
Tre storie vi sono narrate:
1) La divisione del mar rosso;
2) L’episodio dell’acqua amara a Marà;
3) La manna.
La cabbalà attribuisce un significato speciale al miracolo delle acque, al punto da stabilire anche a ricordo di quell’evento, un tikkun per il settimo giorno di Pesach. L’accento è posto proprio sul momento unico e straordinario in cui la potenza di Dio, di solito nascosta e irriconoscibile, si annuncia e si manifesta lì, sulle rive del mar rosso, in tutta la sua portata. Israele ne fu testimone senza differenza di ceto, di età o di casta. “Ciò che ha visto una schiava sul mar rosso non l’ha visto neanche il profeta Ezechiele” dicono i maestri. A ben guardare le benedizioni previste per le varie categorie di frutta a Tu BiShvat nelle quali si esalta Dio quale re del Mondo, costituiscono senz’altro una solida affermazione, e quindi accettazione, della Sua infinita potenza come Creatore e Motore di ogni cosa anche quando ci sfugge o appare meno evidente.
A Marà il popolo arrivò stanco e assetato. Non mancava l’acqua, solo che era amara. Niente di peggio che avere in quantità e a portata di mano ciò di cui si ha bisogno senza poterlo usare. Cominciano le proteste; contro Mosè, contro quella che sembrava configurarsi già da subito come una sciagurata impresa: lasciare l’Egitto per morire di sete nel deserto. Ma Iddio, racconta la Torà, “insegnò /mostrò” a Mosè che un legno, se impiegato nella giusta maniera, può addolcire l’acqua. Sorvolo sulle infinite spiegazioni che fino ai nostri giorni i maestri hanno dedicato a questo passo tra i più affascinanti e enigmatici della Torà, per soffermarmi su un dato elementare. La natura e le sue risorse a volte si affacciano a noi con un volto quasi crudele, come nel caso dell’acqua disponibile ma imbevibile e sono causa di dissidio e ribellione tra gli uomini. Il superamento della crisi non può fare a meno del rapporto con Dio e dell’etica. Da essi l’uomo ne trae vantaggio e si assicura il recupero dell’armonia sociale. Non è un caso che a seguire, nel medesimo versetto, trova spazio la prima legiferazione accettata dal popolo שם שם לו חק ומשפט, antesignana di quel “faremo e ascolteremo” che da lì a due mesi avrebbe dichiarato la Nazione all’unisono “be-lev echad” alle pendici del Sinai.
Terzo e ultimo tema della parasha’ è la manna. Espressione della misericordia e dell’amore di Dio, che avrebbe accompagnato il popolo sfamandolo con ricchezza di gusti e sapori per 40 anni. L’inizio del libro di Giosuè tuttavia ci dice come, all’ingresso nella terra promessa, il “pane celeste” smise di scendere. In questo sta il valore di Eretz Israel. Se da una parte l’interruzione rappresenta lo sprone a applicarsi rivolto a ogni individuo alla vigilia dell’ingresso nella storia sedentaria , dall’altra, mi sembra si possa rilevare, come le condizioni perché ciò si realizzi passano per “La Terra” che contiene in sé la benedizione. Una protezione inviata dapprima concretamente, in modo manifesto attraverso la manna, pronta e disponibile. Da lì in avanti e per il resto della sua esistenza, il popolo ebraico deve farsi socio dello sviluppo e della conduzione responsabile di quel fazzoletto di terra – ma moralmente anche di tutto il mondo – tenendo a mente costantemente uno dei primi compiti assegnatigli alla creazione in quanto uomini: “לעבדה ולשמרה” lavorarlo e custodirlo.
(In onore di mia mamma Alberta Efrati תמ”א che l’Altissimo ha salvato nella settimana di Tu BiShvat 5762)
Amedeo Spagnoletto, sofer
(4 febbraio 2015)