La nave nera cambia nome
Il nome di Pieter Schelte, ufficiale delle SS e criminale di guerra, non solcherà più i mari. La gigantesca nave-piattaforma a lui dedicata cambierà infatti nome. Ad annunciarlo, dopo le proteste delle comunità ebraiche inglesi e olandesi, il figlio di Schelte, Edward Heerema. “Come risultato delle diffuse reazioni emerse in questi giorni, Edward Heerema, presidente del Gruppo Allseas, ha annunciato che il nome della nave ‘Pieter Schelte’ sarà cambiato”, il comunicato rilasciato dalla Allseas, compagnia svizzero-olandese proprietaria del colosso dei mari (382 metri di lunghezza), che presto verrà adoperato dalla multinazionale olandese Shell, con l’accordo del governo britannico, nel Mare del Nord. “Non c’era l’intenzione di offendere nessuno – continua il comunicato – il nuovo nome sarà annunciato tra pochi giorni”.
“Intitolare una nave ad ufficiale delle SS condannato per crimini di guerra è un insulto alle milioni di vittime che hanno sofferto e sono morte per mano dei nazisti”, aveva dichiarato recentemente il vicepresidente del direttivo delle comunità ebraiche britanniche Jonathan Arkush. Molte autorevoli voci ebraiche olandesi e britanniche avevano chiesto al governo di Londra e alla Shell di fare pressione sulla compagnia Allseas perché modificasse il contestato nome. La minaccia di far saltare un appalto milionario, sembrava un deterrente efficace. Interpellato dal Financial Times, il governo britannico se ne era però inizialmente lavato le mani: è una questione tra la Royal Dutch Shell e la Allseas, la risposta di Londra. Poi il cambio di rotta, decisivo, delle autorità britanniche e il messaggio inviato a Shell e diretto alla compagnia di Heerema da parte del segretario all’Energia Ed Davey. “Trovo il nome di questa nave completamente inappropriato e offensivo. Sono sicuro che molte persone condividono questo punto di vista, in particolare quest’anno con le celebrazioni del settantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz”. “Vi esorto a verificare tutte le opzioni a vostra disposizione – il richiamo di Davey alla Shell, riportato dal Financial Times – per riscattare questa situazione, in particolare con la ridenominazione immediata di questa nave”. La multinazionale olandese, tra i leader mondiali del settore petrolifero e del gas, aveva fatto sapere di condividere le preoccupazioni ma di avere le mani legate. “Shell crede che il nome della nave sia inappropriato. Abbiamo esposto le nostre preoccupazioni alla Allseas e abbiamo chiesto di riconsiderare di cambiare il nome – le dichiarazioni rilasciate al Financial Times – D’altra parte, il nome della nave è una questione solamente della Alseas, e tocca alla Alseas giustificarsi”.
La storia della, si auspica, ex Pieter Schelte è nota da tempo ma il suo arrivo un mese fa nel porto di Rotterdam ha fatto esplodere nuovamente il caso. Il fatto che sia attraccata a poche settimane dal settantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz è “sicuramente una coincidenza – dichiarava al Guardian Esther Voet, direttrice del Centro di informazione e documentazione su Israele dell’Aia – ma è anche un segno dei nostri tempi. Abbiamo perso la nostra battaglia nel far cambiare il nome alla nave e ora mangiamo polvere”, le amare considerazioni della Voet che si è piacevolmente ricreduta una volta arrivato il comunicato della Allseas. “Una magnifica, magnifica notizia”, la reazione della direttrice. “Era la cosa giusta da fare ed è un peccato che siano voluti dieci anni perché il proprietario si rendesse conto che quel nome non era appropriato”, le considerazioni di Voet al Financial Times.
Oltre dieci anni dunque ci sono voluti per convincere Edward Heerema che quella dedica al padre era inaccettabile. L’abbiamo battezzata così per onorare il tributo dato da Pieter Schelte al mondo dell’ingegneria navale, aveva spiegato Herema, ricordando come il padre si fosse affermato nel dopoguerra come un pioniere dell’industria offshore e dall’altra parte dissociandosi dalla storia paterna nel periodo della guerra. Ma rendere onore a un uomo che tornò dal Venezuela per vestire l’uniforme delle SS, che assieme alla divisione Wiking – dove servì al fianco di Mengele – si macchiò di crimini di guerra, non equivale a dissociarsi. L’ingegnere navale Schelte era il nazista Schelte. Era l’uomo capace di pronunciare frasi come questa: “comparata con la razza tedesca, la razza ebraica è un parassita e per questo la questione ebraica deve essere risolta in tutti i paesi” (la dichiarazione fa parte della documentazione su Schelte raccolta dal Niod, l’istituto olandese dedicato allo studio della guerra, della Shoah e del genocidio). Questa è l’indelebile eredità di Schelte.
La polemica è arrivata anche da noi, generando lo stupore tra gli altri dell’onorevole Michele Anzaldi. “Ho letto di questo caso grazie a un tweet di Gianni Riotta e mi sono stupito nel vedere la Shell associata a una storia così brutta. Nel mio immaginario, era l’azienda della pubblicità con Nando Martellini, di un prodotto amato dagli italiani, la benzina della Ferrari in Formula Uno. Un’azienda che da sempre ha curato la sua comunicazione in maniera esemplare. Come si può fare uno scivolone simile?”, l’interrogativo di Anzaldi, legato alla scelta di Shell di adoperare, nonostante il nome, la nave-piattaforma della Allseas. “È una disattenzione che deve farci riflettere – spiega il deputato, ricordando l’obbligo di non dimenticare mai le responsabilità naziste – il nome sarà cambiato ma dobbiamo chiederci come si è arrivati a questa situazione, chi ha lasciato che questo accadesse”.
La nave, una sorta di gigantesca gru costruita per la posa e la rimozione di piattaforme petrolifere e oleodotti sottomarini, è stata costruita in Corea del Sud, e aveva lasciato in novembre il porto di Daewoo per fare rotta verso il porto di Rotterdam per completarne l’allestimento. Sarà presto operativa nel mar Nero “per la posa – riportava il Corriere della Sera – del contestato oleodotto South Stream per portare il gas naturale russo in Europa aggirando l’Ucraina”.
Daniel Reichel
(8 febbraio 2015)