Israele-Usa, problemi di fiducia

B_MmiLPU8AA4_YIFiducia. Dovendo riassumere in una parola il discorso al Congresso degli Stati Uniti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si potrebbe scegliere “fiducia”. Quella che Netanyahu non ha mostrato nei confronti dell’amministrazione del presidente Usa Barack Obama e nella sua trattativa con l’Iran sul nucleare. Questo accordo “non ferma l’Iran nel suo cammino verso la bomba (atomica); ma apre la strada all’Iran per arrivare alla bomba”, ha dichiarato Netanyahu, “quindi perché qualcuno dovrebbe fare un accordo di questo tipo?”. Le ventitré standing ovation dei membri del Congresso presenti ieri sembrano dare ragione al primo ministro israeliano: non si può avere fiducia nel regime iraniano, almeno non finché “non smetterà di disseminare terrorismo in tutto il mondo, non fermerà le sue aggressioni ai paesi vicini e non smetterà di minacciare di distruggere Israele”, ha ribadito Netanyahu, una volta tornato in Israele dalla sua visita a Washington. “Ho avuto l’impressione che ora abbiano capito meglio (i membri del Congresso) perché questo è un cattivo accordo e quali sono le alternative giuste”, il commento del premier a ventiquattrore dal suo discorso. Non proprio il pensiero espresso da un duro editoriale del New York Times: “Il discorso di Netanyahu non offre nulla di nuovo rispetto alla sostanza, dimostrando che questa performance era diretta a provare la sua durezza in merito ai temi della sicurezza prima delle elezioni parlamentari che dovrà affrontare il 17 marzo”. Per il Times dunque si tratta più di una trovata elettorale che di un vera risposta sulla questione iraniana. La stessa posizione tenuta da Obama, che ha liquidato il discorso del capo del governo di Gerusalemme come “nulla di nuovo”. E la fiducia tra i due è ai minimi termini. Però Netanyahu merita una risposta, dichiara nel suo editoriale – rispondendo indirettamente al New York Times – un altro autorevole quotidiano americano, il Washington Post: le preoccupazioni del leader del Likud, afferma il Post sono legittime e meritano una risposta da parte dell’amministrazione Obama. In particolare le due concessioni che sembrano emergere dalle trattative in corso tra i 5+1 e Teheran: “La prima è lasciare intatta l’infrastruttura nucleare iraniana. Le centrifughe non verranno distrutte, ma solo disconnesse – ha spiegato Netanyahu – Questo fermerà l’Iran a un anno di tempo dalla costruzione della bomba, e se violerà l’accordo ci arriverà anche prima. Con i suoi missili, poi, potrà colpire anche gli Usa. La seconda concessione è che nel giro di dieci anni tutti gli obblighi svaniranno, e così Teheran potrebbe realizzare il suo arsenale legalmente, limitandosi ad aspettare la scadenza dell’intesa per attivare le 190.000 centrifughe a cui punta”. Concessioni in cambio di cosa, si chiede il Post. E nuovamente, come si può avere fiducia nel regime iraniano? Chi ci dice che non violerà i termini previsti e continuerà la sua corsa all’armamento nucleare?
Lo scetticismo di Netanyahu è inevitabilmente vissuto alla Casa Bianca come un affronto. E le parole di Nancy Pelosi, leader dei democratici alla Camera dei Rappresentanti, ne sono l’affresco più chiaro: “Ero prossima alle lacrime, amareggiata dall’insulto agli Stati Uniti come membro dei 5+1 e amareggiata per la sufficienza nei confronti della nostra consapevolezza della minaccia rappresentata dall’Iran e del nostro più ampio impegno per impedire la proliferazione nucleare”. Insomma dalla mancanza di fiducia di Netanyahu che spera per contro, come rilevano di fatto tutti i commentatori, di essersi guadagnato sia quella del Congresso (disertato da oltre cinquanta democratici) sia dei suo elettori in patria: sul fronte americano, il primo ministro auspica che al Campidoglio passi la proposta di legge appoggiata dall’Aipac per nuove sanzioni all’Iran e un blocco agli accordi in corso tra il regime degli Ayatollah e la Casa Bianca. Sul fronte interno, tornare saldamente in testa ai sondaggi che per ora lo vedono in un complicato testa a testa con la compagine laburista e di centro formata da Isaac Herzog e Tzpi Livni.
Ieri Netanyahu tra le diverse citazioni fatte, tra tradizione ebraica e serie televisive, ha ricordato lo scrittore Ernest Hemingway e il suo “Addio alle armi”, sostenendo che l’accordo con l’Iran non porterebbe a un suo “addio alle armi” appunto. In tutta questa vicenda si potrebbe di nuovo citare Hemingway che affermava che, “Il modo migliore per scoprire se ci si può fidare di qualcuno è dargli fiducia”. Il problema è scegliere con chi farlo.

Daniel Reichel

(4 marzo 2015)