Elezioni in Israele, vince Bibi
In Israele, il Likud del primo ministro uscente Benjamin Netanyahu ha vinto le elezioni, conquistando 30 seggi contro 24 del rivale laburista Isaac Herzog e la sua Unione sionista. Questo il risultato delle votazioni per la Knesset, il parlamento israeliano, dopo lo scrutinio del 99 per cento dei seggi. A Netanyahu sarà dunque affidata la formazione del nuovo governo con la seguente coalizione di destra e religiosa: Likud (30), Habayt Hayehudi (8), Yisrael Beytenu (6), Shas (7), Uniti per la Torah (6). Il primo ministro attende il sì di Kulanu (10 seggi), guidato dall’ex Likud Moshe Kahlon, per poter ottenere la maggioranza alla Knesset (67 seggi).
Terzo partito, la Lista araba che ha vinto 14 mandati, a seguire il partito di centro di Yesh Atid (11) guidato da Yair Lapid. La sinistra di Meretz (4) riesce a superare la soglia di sbarramento del 3,25 per cento, rimane invece fuori il partito religioso Yahad di Eli Yishai.
Record di affluenza per questa tornata elettorale: 71,8 per cento, come nelle elezioni del 1999, e cinque punti percentuali in più rispetto alle elezioni elezioni del 2013.
Bibi si sveglia vincitore. Come già accaduto in passato, gli exit poll in Israele sono stati smentiti dai risultati elettorali reali. Tutti i quotidiani italiani (tra cui Corriere della Sera, La Stampa, Repubblica) aprono con la notizia del testa a testa tra Netanyahu e Herzog. Ma all’alba il verdetto è stato diverso. Netanyahu ha chiaramente vinto e ha iniziato questa mattina le discussioni per la formazione di un governo di coalizione (Jerusalem Post). L’ago della bilancia – come spiega il demografo Sergio Della Pergola intervistato dal Quotidiano nazionale – sono i dieci seggi di Moshe Kahlon, intenzionato a dire sì a Netanyahu. “Chiederà il ministero del Tesoro, ma non so se si accontenterà di solo questo”, afferma Della Pergola. La situazione economica è stato il cuore della campagna elettorale di Kahlon e su Repubblica il premio Nobel per l’Economia Paul Krugman parla di un Israele con una “drammatica disparità di reddito”, affermando che Netanyahu ha cercato di sviare da questi problemi nel corso della campagna elettorale.
Il voto degli arabi-israeliani. Per la prima volta la popolazione araba di Israele ha una lista di un certo peso alla Knesset: 14 seggi guadagnati e terzo partito del paese. Come racconta Repubblica, l’exploit nasce dalla creazione di una lista araba unita, convogliando in unico partito le quattro fazioni di una realtà che costituisce il 20 per cento della popolazione israeliana. Daniel Mosseri su Libero racconta le contraddizioni della lista araba, al cui interno siedono sia moderati sia personaggi antisionisti. Per David Meghnagi, intervistato dal Mattino, la sfida di Israele è “tenere conto dei diritti di tutti”.
Obama, di nuovo Netanyahu. La Casa Bianca aveva sperato in una vittoria dei laburisti e invece dovrà nuovamente confrontarsi con Benjamin Netanyahu, con cui i rapporti sono estremamente tesi.
“Obama, impegnato su più fronti in vari giochi diplomatici ad alto rischio – scrive il Corriere citando il negoziato sul nucleare con l’Iran e la questione siriana – aveva bisogno di recuperare un minimo d’intesa almeno con l’alleato di Gerusalemme”. Per questo auspicava un governo guidato dai laburisti, e invece sarà di nuovo un esecutivo Netanyahu, che in questi mesi ha duramente contrastato Obama per le trattative con l’Iran. Secondo il capo della diplomazia Ue Federica Mogherini, il voto israeliano non influenzerà il tentativo di accordo con Teheran che sarebbe “molto vicino” e garantirebbe l’impegno iraniano a non avere la bomba nucleare (Repubblica).
Il futuro della democrazia israeliana. Intervistato da Maurizio Molinari (La Stampa), lo storico Yuval Harari parla di “Un Paese stretto fra il bisogno di aprirsi e la paura per vicini sempre più ostili”. Lo scrittore israeliano Edgar Keret (Corriere) sottolinea che il voto israeliano non è così scontato in Medio Oriente: “In questa parte di mondo poter esprimere le proprie convinzioni non è un privilegio garantito”.
Rav Di Segni, la misericordia e il Giubileo. “La misericordia è un elemento fondamentale nel pensiero ebraico: il cristianesimo l’ha ereditato,e fatto suo, ma la primogenitura è nella nostra tradizione, anche se poi per molto tempo il cristianesimo ha negato questa derivazione, presentandola invece come se fosse una sua rivoluzione”, così rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, in un’intervista a Repubblica incentrata sulla scelta di papa Bergoglio di scegliere la misericordia come tema del Giubileo straordinario da lui indetto. Ogni occasione è buona per il dialogo – ha dichiarato il rav in merito al Giubileo, sottolineando che con si stanno valutando le date per la visita del pontefice alla sinagoga di Roma – L’Anno Santo straordinario è un evento assolutamente cattolico: noi siamo un’ altra religione e seguiamo l’evento con simpatia e interesse ma siamo soltanto spettatori di questa scelta importante”.
Il sodalizio Steinberg-Buzzi. Una mostra a Sondrio ricostruisce il rapporto tra Aldo Buzzi e Saul Steinberg, “dai banchi del Politecnico al dramma delle leggi razziali. Lettere, disegni, immagini di due grandi del Novecento protagonisti” (Corriere della Sera Milano).
Daniel Reichel
(18 marzo 2015)