Qui Torino – La Com-Unità di Dario Disegni
Nicchiava, Dario Disegni, e pareva preoccupato quando, un paio di mesi addietro, è iniziata a circolare con insistenza a Torino la voce della sua possibile candidatura. Sornione e quasi rassegnato, si trincerava dietro a un “Mi sa cha questa volta mi tocca” senza esplicitare la sua decisione in maniera netta. Sciolte le riserve, e candidatosi da solo in una lista chiamata programmaticamente “Com-Unità”, Disegni ha potuto contare sul sostegno sia della lista Anavim che di Beiachad, che ha poi conquistato la maggioranza del Consiglio, dove ha portato tutti e sette i propri candidati. Risultato il più votato, è stato eletto nuovo presidente della Comunità con voto sostanzialmente unanime, in una prima riunione di Consiglio immediatamente condizionata dal suo stile istituzionalmente impeccabile e improntato a un pragmatismo sobrio e deciso.
Pragmatismo, operatività e cautela che non lasciano però nessuno spazio per polemiche personali o discussioni sterili, e che si coniugano con una correttezza formale che mostra grande attenzione e rispetto per l’istituzione che è stato chiamato a guidare. Caratteristiche evidenti di un nuovo presidente che anche grazie all’impegno mostrato in queste prime settimane – ben maggiore alle due mattine alla settimana che aveva detto di poter dedicare alla Comunità – stanno raccogliendo un grande apprezzamento fra i neo-consiglieri. Ben consapevole delle tante urgenze che vanno gestite anche in questa prima fase di transizione, Disegni è in questi giorni molto impegnato nella composizione delle commissioni che supporteranno i consiglieri responsabili delle varie aree. Nelle righe che ha scritto alla Comunità in un messaggio di saluto e di augurio si legge: “I neo eletti sono chiamati a fornire risposte chiare, trasparenti e lungimiranti alla domanda di servizi articolati ed efficienti per tutte le fasce di utenti della Comunità, con l’obiettivo di ottenere una sempre più ampia partecipazione alla vita comunitaria da parte degli iscritti, tanto dei vicini quanto dei lontani, che sarà indispensabile avvicinare”. Ed è proprio da qui che intende partire: “Tengo moltissimo a integrare nelle commissioni persone esterne al Consiglio, che vengano coinvolte e che siano realmente operative, per allargare il più possibile, soprattutto ai giovani, la base di iscritti disposti a lavorare con noi, anche con incarichi di responsabilità”. Il coinvolgimento dei giovani, eterna preoccupazione in tutte le comunità ebraiche, è uno dei suoi primi obiettivi, insieme all’intenzione di portare la Comunità a essere sempre più coesa e unita. “Mi preoccupa soprattutto la scarsa partecipazione di una ampia fascia di età, che forse più che ‘giovani’ potremmo definire dei ‘giovani adulti’”. Proprio quelli a cui vorrebbe poter passare la mano alla fine del mandato, e che intende coinvolgere il più possibile nella gestione della Comunità, andando anche a pescare in quel grande serbatoio di “lontani” che non si vedono, o per lo meno che non si vedono spesso dalle parti di piazzetta Primo Levi.
“Dobbiamo sicuramente prestare grande attenzione alla sostenibilità economica della Comunità, che sostiene i costi di enti importantissimi ma molto onerosi come la casa di riposo e la scuola. È una delle mie prime preoccupazioni e proprio per questo sarà importante lavorare bene anche sul fronte del fundraising, che già ha permesso di sostenere una parte consistente del costo dei lavori alla casa di riposo e che sicuramente andrà potenziato”. Altra preoccupazione è la scadenza naturale di alcuni degli incarichi apicali della Comunità, come la direzione degli uffici, per cui verranno preparati dei bandi nazionali, ma al momento Disegni pare soprattutto concentrato sull’organizzazione del lavoro, al punto da aver assegnato a un componente di giunta la responsabilità di “Controllo di gestione, ICT (Information e Communication Tecnologies) e Organizzazione”.
Responsabile in prima persona delle relazioni istituzionali, in cui – tiene a sottolinearlo – sono compresi anche la comunicazione e i rapporti con i media, Disegni sarà coinvolto direttamente anche nelle commissioni Cultura e beni culturali. Oltre alla presidenza della Fondazione Beni Culturali Ebraici in Italia e a ruoli di rilievo in numerosi organi direttivi di varie Istituzioni culturali e museali, Disegni è anche presidente della Fondazione Scuola Rabbinica Margulies-Disegni, che ritiene “un progetto irrinunciabile, pienamente valido e importantissimo per una comunità come quella di Torino, che tanto ha dato e tanto potrà dare all’ebraismo italiano”.
a.t. twitter @atrevesmoked
da Pagine Ebraiche, aprile 2015
Un presidente condiviso
A fine gennaio, proprio nei giorni in cui si eleggeva il presidente della Repubblica, nella Comunità ebraica di Torino si presentavano le liste in vista delle elezioni del primo marzo. Perché questo accostamento? E perché rilevare la coincidenza temporale tra un’elezione avvenuta e una campagna elettorale ancora da iniziare? Va detto, prima di tutto, che al momento della presentazione delle candidature torinesi in pratica l’identità del futuro presidente della Comunità era già stata individuata, in quanto le due liste concorrenti Anavim e Beiachad appoggiavano entrambe esplicitamente Dario Disegni, che dunque aveva a priori il sostegno di quasi tutti i candidati (oltre a queste due liste e a Disegni, che si presentava da solo, c’era la candidatura singola di uno dei vicepresidenti uscenti).
La suggestione dell’accostamento con il presidente della Repubblica ci aiuta a mettere in evidenza una peculiarità essenziale dei nostri presidenti di Comunità (e, ancora di più, di quello dell’UCEI): oltre a coordinare l’azione del Consiglio e della Giunta, il presidente ha una funzione di rappresentanza, è la voce degli ebrei di fronte al mondo esterno. In un certo senso si potrebbe dire che assomma in sé le funzioni del presidente della Repubblica e quelle del premier. Niente di strano in questo, si potrebbe dire la stessa cosa di ogni sindaco o presidente di regione. Ma nel nostro caso le relazioni con il mondo esterno hanno, in proporzione, un peso ben maggiore: quale sindaco di un paese di 800 abitanti viene intervistato da giornali e televisioni locali tanto quanto il presidente della Comunità di Torino? Quale sindaco di una città di 25000 abitanti deve rilasciare continuamente dichiarazioni e intrattenere una rete di relazioni istituzionali così fitta come il presidente dell’UCEI?
Da questa considerazione si potrebbero trarre due conclusioni opposte: da una parte, se un presidente di Comunità (o dell’UCEI) deve prendere continuamente posizione su grandi temi ideologici (scuola, immigrazione, razzismo, memoria, senza dimenticare naturalmente il Medio Oriente), ciò significa che le nostre elezioni saranno inevitabilmente “politiche”, che sarà giusto, e, anzi, doveroso, mettere a confronto le diverse opinioni su tutti questi temi; dall’altra parte, però, il presidente rappresenta tutti gli ebrei e per quanto è possibile dovrebbe tenerne conto quando si esprime pubblicamente. In questo somiglia forse più a un presidente della Repubblica che a un premier.
Il presidente della Repubblica viene eletto con una maggioranza il più ampia possibile, generalmente più ampia di quella che sostiene il governo. Lo stesso principio giustifica, a mio parere, la scelta – che a prima vista poteva apparire bizzarra – delle due liste torinesi concorrenti di appoggiare entrambe lo stesso candidato presidente. Non è detto che questa scelta sia sempre quella giusta.
Dipende dalla situazione delle singole Comunità. Può darsi che in altri contesti debba prevalere la funzione di capo dell’esecutivo; o magari in alcuni casi le polarizzazioni ideologiche potrebbero essere troppo marcate per consentire l’individuazione di una figura in cui tutti si possano identificare. A Torino questo è stato possibile perché in effetti le differenze ideologiche non erano molto marcate, o, per lo meno, non lo erano su molti punti. Tant’è che il desiderio di lavorare tutti insieme al di là delle liste di provenienza è stato più volte espresso dai candidati e poi dai neoeletti consiglieri.
E allora se non c’erano grandi differenze di opinioni perché non una lista unica? In effetti questa ipotesi era stata presa in considerazione e, a mio parere, non sarebbe stata affatto scandalosa: a quanto mi risulta, in altre Comunità medie e piccole i candidati non si presentano divisi per liste.
Una lista unitaria (s’intende, con un numero di candidati superiore al numero dei consiglieri, in modo tale da consentire agli elettori una scelta) non avrebbe significato che tra gli ebrei torinesi non ci sono differenze di opinione (che sarebbe davvero molto grave), ma solo che tali differenze sono trasversali e che a seconda degli argomenti in discussione emergeranno maggioranze e minoranze diverse. In effetti probabilmente su molti temi sarà esattamente così; tuttavia la nascita di due liste distinte dimostra che tra le molte potenziali differenze di opinione una è stata considerata più rilevante delle altre, e su quella base si sono aggregati due gruppi.
Di cosa si tratta? Confrontando i due programmi elettorali mi pare che si noti un’unica differenza rilevante: mentre Beiachad inizia ponendo come obiettivo prioritario “il consolidamento di una Comunità inclusiva, in cui idee e sensibilità diverse possano convivere e confrontarsi liberamente”, Anavim non dichiara esplicitamente questa esigenza (il che, ovviamente, non significa che non la condivida ma mi pare comunque il sintomo di un approccio diverso alla questione).
Se la mia analisi è corretta, la netta affermazione di Beiachad dimostrerebbe che questa esigenza di maggiore apertura è condivisa dalla maggior parte degli ebrei torinesi. Altri, probabilmente, interpreteranno i risultati diversamente. Resta comunque l’auspicio (questo, sì, ampiamente condiviso) che queste elezioni segnino l’inizio di una nuova fase nella vita della Comunità torinese e che si recuperi la capacità di lavorare tutti insieme nel rispetto reciproco anche in presenza di opinioni diverse.
ú–– Anna Segre
da Pagine Ebraiche, aprile 2015
(26 marzo 2015)