70esimo anniversario – Buchenwald, Memoria viva

IMG_20150412_170306In diversi angoli del campo di Buchenwald rose rosse o bianche fanno capolino. Le baracche in cui settant’anni fa gli americani trovarono 21mila anime, sopravvissute alla macchina di morte nazista, non ci sono più. Al loro posto, resta il silenzioso dolore di chi oggi visita quel luogo. Di chi si riunisce attorno al blocco 22, la baracca degli ebrei, per recitare insieme il Kaddish. Di chi al campo piccolo poco più in là, dove sul finire della guerra furono stipate in condizioni disumane migliaia di persone, lascia una corona di fiori con una dedica: “A Marcel Paul qui a sauvé a mon grand-pere Laurant Dassault”. È il momento di una memoria privata che però si unisce anche a quella pubblica, al ricordo condiviso della tragedia come raccontano le bandiere delle corone, provenienti da mezza Europa e deposte in quella che negli anni dell’orrore nazista fu la piazza dell’appello. Ieri in questo luogo si è celebrato, alla presenza tra gli altri del presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz, il 70esimo anniversario della liberazione del campo di concentramento di Buchenwald, che sorge a pochi chilometri da Weimar e in cui morirono 56mila persone. “Jedem das seine”, A ciascuno il suo, si legge sul cancello d’entrata del campo. Ai così detti non ariani, gli ebrei, i rom, i sinti, gli omosessuali, gli oppositori politici, il “suo” era la morte, raccontano i sopravvissuti mentre centinaia di persone ascoltano i loro racconti. In molti infatti hanno voluto testimoniare la loro presenza, bandiere israeliane, comuniste, antifasciste o razziste in mano, ma anche semplici cittadini. E fa effetto vederli assiepati anche al di là del filo spinato quando settant’anni fa nessuno ebbe il coraggio di levare la voce per protestare contro quando accadeva nel campo. L’unica protesta, racconta Ronald Hirfe, storico del luogo, era venuta da alcuni intellettuali di Weimar. Chiesero vigorosamente alle autorità tedesche di non chiamare il lager Ettersberg, ovvero con il nome della collina su cui sorse il luogo di morte e oppressione nazista. Per l’immaginario di quegli intellettuali e per la Germania Ettersberg infatti era la collina su cui saliva Goethe per trarre ispirazione per le sue opere. Era un luogo di poesia che incarnava la cultura tedesca. “Evidentemente gli intellettuali sapevano cosa fosse un lager e, anziché pensare a quanto veniva fatto nel suo interno, erano piuttosto interessati a non “infangare” il nome Ettersberg – sottolinea Sergio Gibellini, autore di una videointervista a Gilberto Salmoni, sopravvissuto italiano al Buchenwald e presente alla cerimonia per il 70esimo anniversario della liberazione – La collina di Ettersberg continuò ad essere meta delle gite domenicali all’aria aperta degli abitanti di Weimar, offrendo alla vista il bel panorama sulla Turingia, mentre poco distante, sul lato nord, il lager era tragicamente in piena attività”.
“Non si registrarono, almeno secondo quanto ci risulta, proteste per le condizioni dei deportati”, ammette Hirfe. Un’indifferenza colpevole con cui i tedeschi hanno fatto e tutt’ora fanno i conti così come, ovviamente, con la ferocia del nazismo. “Non siamo colpevoli ma siamo moralmente responsabili”, ha dichiarato Schulz ieri, in un appello diretto soprattutto alle future generazioni perché non dimentichino cosa fu la Germania nazista. Per il presidente del Parlamento Europeo, la liberazione di Buchenwald è “il simbolo della nascita dell’Europa, che dobbiamo mantenere unita, soprattutto attraverso la creazione di una memoria condivisa”.

Daniel Reichel

(13 aprile 2015)