Diritti e disparità economiche Il torto partì dai Ghetti

Schermata 06-2457192 alle 14.02.10Ci fu un momento preciso, nella storia d’Italia e d’Europa, in cui iniziò la saldatura tra potere finanziario e politico, seminando le situazioni con cui a secoli di distanza deve ancora misurarsi il mondo: dalla crisi economica, alle crescenti e drammatiche diseguaglianze. Un momento della storia che coincide anche con la persecuzione della popolazione ebraica attraverso la sua costrizione nei ghetti.
Una semplice coincidenza? Decisamente no. A spiegarlo, anticipando i contenuti del suo nuovo libro in uscita il prossimo inverno con l’editore Laterza, lo storico Giacomo Todeschini. Incontrando la redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane nel seminario Mercati e Valori, organizzato in collaborazione con la Comunità di Firenze, il professore dell’Università di Trieste ha infatti acceso i riflettori su aspetti trascurati della storia del paese, economica e non, offrendo nuove chiavi di lettura di fenomeni lontani nel tempo, ma non nell’impatto sulla realtà del XXI secolo.
“Il punto di partenza nell’affrontare la questione delle diseguaglianze economiche nella prospettiva dello storico è stato esplorare come questi meccanismi siano collegati al tema della cittadinanza, un concetto che si forma proprio tra il Medioevo e l’Età moderna”, ha spiegato Todeschini, che in queste ricerche si è concentrato tra i secoli XIII e XVI.
Se la cittadinanza piena, compresa in linea di massima di diritti civili e politici, era uno status riservato a pochi e connesso alla condizione economica, gli ebrei ne erano esclusi e con loro, anche se in modo differente, gli strati più disagiati della popolazione, un elemento decisivo nella prospettiva proposta da Todeschini.
“La banca nasce tra il ‘400 e il ‘500 e diventa un efficace strumento di controllo del territorio, implementando un meccanismo di selezione della cittadinanza – ha spiegato – Per ricevere un prestito era necessario rispettare determinati requisiti, di onorabilità e condizione sociale. Gli istituti appena fondati, spesso in mano alle stesse famiglie del potere politico o che arriveranno al potere politico, prestano ai sovrani, ai governi, all’economia alta, andando a sostituire i prestatori ebrei. Per i quali però non viene praticata la soluzione dell’espulsione, come in Spagna, ma invece la reclusione nei ghetti”.
Una scelta non casuale, puntualizza lo storico. Primo perché la creazione dei Ghetti diventa anche un’operazione finanziaria e immobiliare tutta a vantaggio delle autorità politiche e finanziarie, che comprano e vendono gli immobili e costruiscono le mura per rinchiudere la popolazione ebraica, che, privata pure della possibilità di possedere proprietà, si trova anche costretta a pagare gli affitti. Ma pure perché esisteva uno spazio nell’economia che l’asse del potere cinquecentesco aveva interesse che venisse gestito dai prestatori ebrei, contemporaneamente portandone avanti la delegittimazione: il credito a coloro che erano privi dei requisiti richiesti dalle banche, i poveri “non-cittadini”, il piccolo consumo e impresa.
“La storiografia ha in generale ignorato questi fenomeni” ha evidenziato Todeschini.
“Talvolta si è anche ingenerata una certa confusione sul ruolo dei prestatori ebrei rispetto ai governi: è vero che le autorità si rivolgevano a loro in situazioni di emergenza, guerre, riparazioni pubbliche inaspettate, ma non esisteva affatto un rapporto stabile, come spesso è stato suggerito”.
“La banca e il ghetto” il titolo provvisorio del volume, che promette di scardinare luoghi comuni e di aprire dei canali di comprensione su temi che a secoli di distanza non hanno trovato risposta: dall’influenza sul mondo economico del rapporto fra politica e finanza, all’impatto dello status sociale sulle opportunità di carriera o di affari.

Rossella Tercatin

(18 giugno 2015)