Memoria – La stagione incerta dei diritti

bidussaLe “giornate memoriali” o simboliche sovranazionali sono in sofferenza. È un altro segno della crisi del sentimento universalistico in una fase in cui torna forte il sentimento di appartenenza di gruppo. È anche uno dei segni della crisi dell’idea di Europa. Si consideri La “Giornata mondiale dei diritti umani”, una celebrazione sovranazionale che si tiene in tutto il mondo il 10 dicembre di tutti gli anni. Ricorda il giorno (era il 1948) in cui a Parigi fu firmata la Dichiarazione universale dei diritti umani. È un documento che nella memoria pubblica pochi ricordano, spesso molti sovrappongono a quella più nota dei diritti dell’uomo e del cittadino (26 agosto 1789), anche se anche per questa non credo che la data sia a tutti nota. La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino di fatto dà forma alla Rivoluzione francese, un evento che tutti identificano con il 14 luglio. Di quell’evento, tuttavia, è rimasta una traccia. Del 10 dicembre, poco. Avrebbe forse avuto un senso ricordarla all’indomani del voto francese dello scorso 6 dicembre, ma non è avvenuto. E forse questo dato, più di altri, dice qualcosa. “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. È il testo dell’articolo 1 con cui si apre la Dichiarazione universale di diritti umani. La nostra attenzione tuttavia più che concentrarsi sul contenuto della dichiarazione deve rivolgersi ai preliminari laddove il testo recita: “Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti dell’uomo hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità, e che l’avvento di un mondo in cui gli esseri umani godono della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell’uomo…”. Il diritto acquista forza, dunque, non in base a un’estensione dei diritti, al riconoscimento della loro insufficienza, ma in relazione alla barbarie vissuta, al senso d’inadeguatezza, sulla base di una “ferita”. In breve sull’idea di “male”. Ha scritto con acutezza Salvatore Veca nel 2005 (La priorità del male e l’offerta filosofica, Feltrinelli), in tempi non sospetti di crisi dell’idea di Europa, che la Dichiarazione pur figlia dell’Illuminismo europeo, è stata scritta quando la fiducia nell’Illuminismo conosceva la sua massima crisi e dunque testimoni della “memoria dell’orrore” più che della “credenza nella ragione”. In altre parole allude alla paura piuttosto che alle aspettative della speranza. Forse oggi quella dimensione ci appare per certi aspetti più significativa, proprio nella dimensione dell’oblio, che non in quello della memoria e comunque in una dimensione della paura che ha cambiato natura. La paura oggi non discende da ciò che si è fatto, bensì per quello che può accadere. Una paura che discende non dall’autoritarismo e dalla violenza esercitata in precedenza, ma dalla “rilassatezza”. La dimensione dell’incertezza dei diritti così mette in questione la disponibilità a riparare il torto precedente. È indubbio, infatti, che avvertire come il diritto si origini dal torto, se accelera e mette in stretto rapporto la condizione attuale con ciò che vorremo, con un’idea di mondo migliore, si configuri come “concessione” e la concessione include che quei diritti valgano in tempi di “vacche grasse”. In tempi di “vacche magre”, quando la dimensione del diritto diviene più difficile, la domanda che trova terreno fertile è se sia legittimo o no riconoscerli come diritti e forse, anche se sia proprio necessario riconoscere il “torto” precedente. Non è detto che questo valga solo per il 10 dicembre.

David Bidussa, storico sociale delle idee
Pagine Ebraiche, gennaio 2016

(20 gennaio 2016)