LA CORSA ALLE ELEZIONI USA Clinton-Sanders, quali risposte sulla politica estera

Comunque vadano le elezioni, le primarie dello stato americano del New Hampshire rimarranno nei libri di cronaca. Secondo il New York Times, dopo la seconda consultazione nel lungo percorso destinato a selezionare i candidati alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump ha ufficialmente acquisito lo status di uomo da battere nel campo repubblicano.
“Dopo aver perso in Iowa, Donald Trump si è comportato come un campione dei pesi massimi messo ko” ha scritto il quotidiano “E’ diventato insolitamente silenzioso su Twitter, e ha citato appena i suoi risultati dei sondaggi, dopo essersene vantato per mesi. Ma la sua netta vittoria in New Hampshire ha finalmente legittimato quei numeri e dato all’esuberante e celebre candidato lo status che i suoi avversari avevano a lungo temuto: quello di effettivo leader della corsa alla nomination repubblicana”. Sul fronte democratico invece Bernie Sanders è il primo ebreo a vincere delle primarie presidenziali. A mettere in evidenza un possibile punto debole nel profilo del senatore del Vermont è lo stesso quotidiano newyorkese: la tendenza a nicchiare quando si parla di politica estera.
“Quando domenica scorsa gli è stato chiesto del lancio del missile nordcoreano avvenuto il giorno precedente, ha risposto senza parlare in alcun modo di come si rapporterebbe con lo stato nucleare rinnegato, o di come persuadere la Cina a controllare il suo alleato. In effetti, nella sua risposta, non ha mai nemmeno citato il Nord Corea, rispondendo al suo intervistatore John Dickerson della CBS News che Hilary Clinton aveva ‘votato in favore della guerra’ – la guerra in Iraq, 14 anni prima – e assicurando che lui potrà ‘mettere insieme una squadra forte per un’ottima politica estera’.” Un approccio sfuggente già mostrato in altre occasioni, per esempio quando nel corso di un altro dibattito avvenuto pochi giorni prima, di fronte a una domanda di Clinton sulla strategia per combattere i talebani in Afghanistan, Sanders non si era premurato di nominare Kabul, limitandosi invece a lanciare ammonimenti contro il pantano in Iraq e Siria. Né si è espresso in modo particolarmente chiaro rispetto a Israele, o ad altri dossier chiave della politica americana. Hilary Clinton, che fino alla sorprendente ascesa di Sanders, si pensava avrebbe ottenuto facilmente la nomination democratica, ha ricoperto un ruolo di primo piano come quello di segretario di Stato. Sanders invece tende a riportare tutte le conversazioni su un terreno a lui più familiare, quello delle ineguaglianze sociali, evitando di parlare chiaramente della sua visione sul ruolo dell’America nel mondo, “mentre gli Stati Uniti devono fare i conti con la lotta allo Stato islamico, una Russia aggressiva, una Cina economicamente indebolita” nota il New York Times. Il giornale diretto da Dean Baquet ha annunciato negli scorsi giorni il suo endorsement a Hilary Clinton (mentre per i repubblicani la scelta è ricaduta sul governatore dell’Ohio John Kasich, che in New Hampshire si è piazzato secondo dietro Trump). Il suo approccio, considerato più aggressivo rispetto a quello di Sanders, la mette in difficoltà con gli elettori più liberal e soprattutto con i giovani, zoccolo duro dei sostenitori di Sanders. E tuttavia, come ha spiegato Richard Haass, presidente dell’organizzazione Council on Foreign Relations, le campagne elettorali non sono il posto migliore in cui dare un’accelerazione sul proprio profilo in politica estera. “A un certo punto da qui alle elezioni, qualcosa accadrà nel mondo – un attentato terroristico, un’altra grande sfida – e i candidati saranno misurati secondo standard da comandante in capo. E tutti dovranno essere pronti”.

Rossella Tercatin