Condotto così, il dialogo è un pericolo

Il cinquantesimo anniversario di Nostra Aetate, che assolve gli ebrei dalla responsabilità di aver ucciso Gesù, è stato vissuto come un trionfo del dialogo interreligioso. Un testo intitolato “Dichiarazione del rabbinato ortodosso sulla cristianità” esorta ad esempio gli ebrei ad accettare “la mano che ci viene offerta dai nostri fratelli e sorelle cristiani per lavorare insieme sulle sfide morali della nostra era”.
Alcuni dei firmatari sono noti, in particolare per la loro posizione nel campo del mondo ortodosso. Tra questi Asher Lopatin, presidente della Yeshivat Chovevei Torah Rabbinical School, la massima istituzione della Open Orthodoxy; e poi Yitz Greenberg, che ha chiamato Gesù un “mancato messia”, che non significa falso, ma semplicemente come Abramo e Moshe Rabbenu un afra l’pumei, appunto un messia mancato.
Da un punto di vista ebraico, il dialogo teologico è allo stesso tempo superfluo e pericoloso. Superfluo perché l’ebraismo manca di una figura paragonabile al papa, che ha l’autorità per cambiare unilateralmente la dottrina della Chiesa. I più grandi tra i rabbini al contrario non possono cambiare nemmeno il più sottile dettaglio della halakhah. E anche se possedessero una simile autorità, il contributo di figure non ebraiche sarebbe irrilevante, dal momento che la credenza e la pratica dell’ebraismo emergono solo in modo autoctono dall’interpretazione delle fonti ebraiche classiche da parte di uomini che sono istruiti in modo completo sull’intero corpus.
Ma il dialogo interreligioso è lontano dall’essere un innocuo spreco di tempo. È pericoloso. Per la sua natura più profonda, un dialogo simile tende a somigliare a una terapia di coppia tra un marito e una moglie che bisticciano. Inevitabilmente, a ognuno dei due verrà consigliato di fare alcune concessioni per il bene della relazione.
E non ci può essere alcun dubbio sulla grandezza delle concessioni cattoliche nel corso dell’ultimo mezzo secolo e su quelle di alcuni gruppi protestanti. Dunque la pressione sarà tutta incentrata sugli ebrei affinché mostrino reciprocità nel dialogo interreligioso o dicendo cose buone sul cristianesimo o in alternativa oscurando le divisioni teologiche più profonde tra quest’ultimo e l’ebraismo della Torah.
La Torah parla della Rivelazione sul Sinai a un intero popolo come un evento unico in tutta la storia umana destinato a non ripetersi mai. La proporzione di tale Rivelazione non è comparabile con nessuna verità riflessa le altre religioni abbiano raccolto dalla Torah. E quale base vi è nella Torah per considerare la Rivelazione sul Sinai come solo parziale o bisognosa di supplementi da parte di altre tradizioni religiose, che non sono il prodotto della Rivelazione divina stessa (almeno per quanto dicono i nostri testi)?
Come piccola minoranza religiosa, le cui schiere si stanno rimpicciolendo a causa di matrimoni misti e assimilazione, gli ebrei sono messi in pericolo da una minimizzazione di ciò che è tipicamente ebraico e un’enfasi sui punti in comune con la religione dominante.

Jonathan Rosenblum, Jewish Media Resources

(Da “Mishpacha Magazine”)

(29 febbraio 2016)