Il dibattito sulla tzniut – Modestia e vita quotidiana: tre voci femminili
A cosa si fa riferimento quando si parla di tzniut, modestia? È vero che questo concetto nella tradizione ebraica assume una particolare rilevanza nel mondo femminile? E cosa significa fare della tzniut un cardine della propria vita quotidiana? In un periodo in cui la nozione di tzniut è spesso oggetto di dibattito, Pagine Ebraiche ha posto alcuni quesiti sul tema a tre donne che vengono e vivono in mondi diversi. Ad accomunarle però il riconoscimento della tzniut come valore importante, da rispettare ogni giorno.
Shulamit Furstenberg-Levi, israeliana da tanti anni a Firenze, sposata al rabbino capo della città Joseph Levi, mette in evidenza quanto la tzniut segni prima di tutto un modo di comportarsi nei confronti del prossimo. “Vuol dire mantenere un atteggiamento che lascia spazio agli altri oltre che a te stesso, e contemporaneamente cercare di portare kedushah, sacralità, nella vita quotidiana. La tradizione ebraica prevede molti momenti di incontro con il sacro, a cominciare da Shabbat, ma rispettare la tzniut significa mantenersi sempre consapevoli di non essere solo se stessi, ma di avere qualcuno sopra di noi. Sicuramente è quindi essenziale tanto per le donne, quanto per gli uomini”. Shulamit si pone in modo critico invece nei confronti di chi considera la modestia semplicemente un insieme di regole che la società circostante impone di rispettare. “Il modo in cui ci vestiamo e ci poniamo è parte di quello che siamo, ma è solo una parte. Vorrei dissociare la tzniut dalla questione di come la società ci giudica: il discorso riguarda soprattutto il nostro rapporto con noi stessi. Anche se è molto importante avere rispetto per la comunità in cui si vive e per le persone che abbiamo davanti e i loro valori”.
Mette in evidenza le diverse sfaccettature del concetto di tzniut anche Giulia Gallichi Punturello, italiana trapiantata a Gerusalemme, personal chef, e moglie di rav Pierpaolo Punturello. “La tziniut per me ha canoni da un lato spirituali e dall’altro formali – spiega – Nella società infatti significa tenersi lontani dalla maldicenza e da situazioni equivoche. Nella sfera spirituale invece è un modo di approcciarsi alla vita, mantenendo un basso profilo, senza il bisogno di rimarcare le proprie conoscenze, successi o mizvot. Nella mia quotidianità e soprattutto nel mio ruolo di Rabbanit, la tziniut non ha soltanto a che fare con il modo di vestirmi o di comportarmi, ma piuttosto mi ha aiutata a mantenermi al di fuori di determinate dinamiche politico/comunitarie senza però sminuire l’importanza delle mie idee”.
Per Gheula Canarutto Nemni, autrice del libro “(Non) si può avere tutto” ed esponente del gruppo chassidico Chabad-Lubavitch, la modestia è un modo di vivere se stessi, mantenere dignità e umiltà. “È importante ricordare che l’ebraismo aiuta a interiorizzare i concetti spirituali attraverso regole pratiche, e in questo senso si possono leggere le prescrizioni in materia di abbigliamento” prosegue. “Questo non significa assolutamente sentirsi meno belle o sminuite. Sicuramente io non mi sento privata di qualcosa perché non posso indossare un paio di jeans. Anzi, io penso che questo sia un modo per valorizzare le donne, di non ridurne il valore alla superficie di pelle esposta”.
Ricordando poi che nella Torah, la persona umile, tzanua, per eccezione è niente meno che Mosè, guida del popolo ebraico. A sottolineare come il concetto di modestia vada ben oltre i centimetri di stoffa.
Rossella Tercatin