Storie ordinarie, finalmente
Le parole gridate, in televisione o sui giornali, ci hanno stancato. Anche i più giustamente arrabbiati di noi si rendono conto ormai che non basta alzare la voce per esser ascoltati. Eppure, i media sono ancora pieni di foto drammatiche, di dichiarazioni estreme. E lo sono anche molti libri. Il peggior risultato di questa maniera di raccontare consiste nell’appiattimento. La stessa foto che ci ha emozionato o indignato, pochi mesi dopo è dimenticata o peggio: è smentita dal comportamento che osservano gli stessi che avevano più mostrato la propria indignazione. Il delitto efferato che leggiamo su qualche best seller ci pare copiato dalla cronaca, spesso lo è. E i veri dolori, quelli consumati fuori dal faro delle breaking news, e le disperazioni autentiche? O le gioie minute, ma ancora presenti nelle nostre vite ordinarie, raccontate con pudore e sincerità, non ci sono più o nessuno se ne accorge, tranne noi?
Kent Haruf, lo scrittore americano scomparso nel 2014, ha dedicato la propria opera letteraria a raccontare proprio quelle storie di ordinaria quotidianità che parevano espunte dalla narrativa, ma non dalla vita. Un ciclo di tre romanzi in particolare, La Trilogia della Pianura – ambientati nella immaginaria quanto realistica cittadina di Holt, poco lontana da Denver, Colorado -, restituisce dignità ai personaggi che le popolano, e a noi, loro simili di ogni parte del mondo, che le leggiamo. La casa editrice NNE, nuova ma animata da princìpi senza tempo (testi di buona scrittura, edizione curata, attenzione ai dettagli), ne ha pubblicato i primi due, e il terzo è annunciato per il prossimo autunno. Prima ancora di entrare nel merito di cosa Haruf ci racconta, lasciatemi il piacere di dirvi quanto ho amato come scrive. Abbiamo tutti una amica, più raramente un amico, che ha una voce quieta, bassa; ci ascolta, ci parla con simpatia e attenzione; raramente ci dice cosa dovremmo fare, ma – raccontando di se o di altri che forse nemmeno conosciamo di persona – ci fornisce esempi di comportamento onesto, responsabile. Alcuni di noi, lo so per esperienza, li temono invece di cercare la loro compagnia: perché, forse, nella loro quieta parola, troviamo sfide che temiamo di non esser capaci di affrontare. Ma nessuno, credo, nel silenzio o la solitudine in cui prima o poi ci ritroviamo, non sente che loro è il consiglio più apprezzabile, loro la lezione da ascoltare. Ebbene, Kent Haruf è uno di loro. In Benedizione, il primo romanzo del trittico ( NNE, 277 pagine, 17 euro ), per esempio, le vite di Dad e Mary, di Lorraine e Frank, di Rudy, Bob, Willa, Alena, Alice… sono così normali, e così drammatiche allo stesso tempo, da non poter percorrere le stesse strade che, prima o poi, abbiamo attraversato anche noi. Morire, mentire, far del bene e del male; vivere sopportando le conseguenze dei nostri limiti, apprezzando poco quel che invece di buono siamo, fino a quando resta poco tempo per farlo. I personaggi che vivono a Holt non commettono crimini, né eroismi da prima pagina, ma il loro coraggio e le loro viltà sono spesso messe alla prova, lasciando loro troppo spesso i rimorsi e i sensi di colpa, alleviati talvolta da passeggere gioie e modeste soddisfazioni di se. Vi affezionerete, vi riconoscerete. Anche se non siete un Reverendo come Lyle, o una bambina come Alice. Ma, davvero, più di ogni valore, chi leggerà questi libri sarà catturato dal modo piano e forte con cui è scritto. Sarete sorpresi da quanto particolari minori – le ruote di una bicicletta, lo spiffero che passa dalla porta, lo sguardo sfuggente di un impiegato, e molti altri – resteranno impressi in voi. E questo già solo in Benedizione. Difficilmente rinuncerete a leggere poi Canto della Pianura ( NNE – 302 pagine, 18 Euro ). Sempre Holt, altri personaggi. Una storia più vitale, dalla sensualità pervadente, e popolata ancora di fatti e persone comuni. La maniera migliore di recensire questi magnifici romanzi è leggerli, o meglio ancora, tradurli. Il lavoro di Fabio Cremonesi, infatti, è magistrale, e ben fa la casa editrice a dedicare una pagina alla voce del traduttore, e una sua biografia minima sui risvolti. Sono andato a vedere alcuni brani della edizione americana, e sono rimasto a bocca aperta per l’ammirazione: precisione lessicale a parte (ma non abbiamo idea di quanta passione e quanta competenza ci vuole per trovare quella parola, quella e nessun altra), il suono che Cremonesi riesce a mettere in italiano è proprio quello della musica che ha composto Haruf. Bravo lui, brava NNE, attenta anche alla narrativa di qualità italiana. Ma ho finito lo spazio, ci tornerò.
Valerio Fiandra
(24 marzo 2016)