GUERRA E VALORI – IL CASO DI HEBRON “Nessun linciaggio mediatico, solo indagini svolte da autorità competenti”
Lunedí 4 aprile su Pagine Ebraiche 24, un commento sollevava quattro quesiti sulla questione del soldato israeliano che a Hebron ha ucciso con un proiettile alla testa da due metri un terrorista palestinese che aveva pugnalato una persona, era stato ferito gravemente dai soldati presenti, e agonizzava steso per terra. Ecco le risposte alle curiosità lì esposte.
D. Come affrontare la presenza di mezzi di stampa apertamente “anti” in zone di guerra?
R. Il luogo del fatto citato non è una zona di guerra, bensì il quartiere insediativo ebraico di Tel Rumeida nel pieno centro di Hebron. Salvo dichiarare tutto lo Stato d’Israele e tutta la Cisgiordania “zona di guerra” a causa dei ripetuti atti di terrorismo, nel sistema democratico israeliano i mezzi di stampa hanno libero accesso dovunque, sia se “pro” sia se “anti”. In zone strettamente di guerra, invece, i mezzi di stampa, sia “pro” sia “anti”, sono interdetti.
D. La presenza della stampa pone regole di ingaggio estremamente articolate che spesso pongono la vita dei soldati in pericolo?
R. No, le regole di ingaggio dell’esercito israeliano sono estremamente precise, sono ben note a tutti i membri delle forze di sicurezza, e sono state confermate ripetutamente dal ministro della difesa Moshe Yaalon (del partito Likud) e dal capo di stato maggiore di Tzahal, il generale Gabi Eisenkot (che proviene dalla divisione di fanteria d’assalto Golani). È consentito aprire il fuoco contro fonti di fuoco nemiche che siano in grado di mettere in pericolo l’incolumità delle nostre forze. Dai risultati dell’autopsia, il palestinese è deceduto in seguito allo sparo in testa effettuato dal soldato mentre agonizzava steso a terra. La tesi che il terrorista potesse portare su di sé una cintura esplosiva è smentita da un controllo che un ufficiale aveva fatto sul corpo pochi minuti prima. La tesi di un pericolo imminente per gli astanti è smentita dal fatto che un soldato accovacciato accanto al palestinese si stava tranquillamente allacciando una scarpa. Lo sparo al palestinese, se portatore di una cintura esplosiva, è irresponsabile perché avrebbe potuto innescare l’ordigno causando una strage fra i molti presenti a brevissima distanza.
D. È giusto scatenare un linciaggio mediatico contro un soldato sulla base di un filmato prodotto da una organizzazione anti esercito?
R. Non esiste alcun linciaggio mediatico, bensì un’indagine svolta dalle autorità militari competenti. Le scene riprese dalle telecamere di sicurezza non sono né a favore né contro. Sono delle riprese televisive in diretta, mandate poi in circolazione dai notiziari televisivi senza modifiche. Semmai, a parte la scena stessa dello sparo e della cessazione immediata dei deboli movimenti del palestinese ferito a terra, subito dopo lo sparo è si è vista una stretta di mano sul posto fra il soldato e Baruch Marzel. Marzel è un attivista tra i più estremisti della zona di Hebron la cui elezione all’ultima Knesset è fallita per poche migliaia di voti.
D. Da dove viene la sempre più forte dicotomia tra gran parte della popolazione israeliana e un certo establishment giudiziario del paese?
R. La dicotomia e l’assalto ai tribunali viene dal fanatismo settario e dall’ignoranza giuridica di una minoranza della popolazione israeliana che non può tollerare che al di sopra del potere esecutivo e del potere legislativo esista in Israele una Corte Suprema che, similmente a quanto fa in Italia la Corte Costituzionale, delibera sulla legittimità dei decreti e delle leggi. Quell'”establishment giudiziario” è stato regolarmente eletto dall’organo preposto che include rappresentanti del governo, del parlamento, del corpo giudiziario, e della professione legale.
Ricordiamoci, infine, di Francesco Ferruccio (detto Ferrucci) che alla battaglia di Gavinana il 3 agosto 1530 disse a Fabrizio Maramaldo, capitano dei Lanzichenecchi: “Vile, tu uccidi un uomo morto”.
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme
(7 aprile 2016)