SATIRA E SOCIETA’ Una retorica senza sbocco
Maurizio Crozza, in una sua copertina a DiMartedì, in riferimento ai recenti attentati di Bruxelles, ha esordito sostenendo che “siamo in guerra, un po’ attacca uno un po’ attacca l’altro, noi attacchiamo con i droni, loro con i trolley”. La reazione del politologo Edward Luttwak, presente in studio, non si è fatta attendere: “Crozza fa l’equivalenza tra i terroristi e i piloti americani”. Crozza del resto – il quale quando si limita a descrivere lo scenario politico italiano risulta anche piacevole – non ha fatto altro che esprimere la vox populi: il terrorismo islamico non è altro che la risposta, o la resistenza, all’imperialismo perpetrato dall’Occidente verso il resto del mondo. Certo è innegabile che ogni intervento militare ha ragioni strategiche ed economiche che oltrepassano quelle umanitarie, che la guerra in Iraq voluta da George Bush è stata disastrosa e ha complicato ulteriormente i precari equilibri della regione e che “l’esportazione della democrazia” è un nonsense rivelatosi fin dall’inizio fallimentare. Ma ridurre l’integralismo islamico alla retorica “terzomondista” è una banalizzazione e a tratti una legittimazione che non tiene conto della storicità e della complessità di un fenomeno che in fondo si avvale di giovani martiri nati in Europa e miete vittime anche nei paesi islamici, dove in origine è nato più realisticamente come riscontro o riflesso a un’idea di modernità. Luttwak nella stessa trasmissione ha detto ironicamente che “nei paesi arabi qualunque problema viene addossato agli americani”. Questa attribuzione e rimbalzo delle responsabilità conduce effettivamente a un gioco senza sbocco, comune in numerosi dibattiti, che non porterà mai a una reale presa di coscienza: il problema dell’Europa è l’Islam, la nostra crisi è dovuta all’Europa, la criminalità è dovuta alla presenza e al mancato rispetto delle leggi da parte degli stranieri, i problemi del Nord sono dovuti all’inefficienza del Sud, i problemi del Sud sono dovuti allo sfruttamento del Nord, e via dicendo all’infinito. Forse tornando a quel “siamo in guerra”, sarebbe più doveroso e intelligente chiedersi perché ci destiamo dal torpore e siamo in guerra soltanto quando attaccano i nostri centri nevralgici, e non quando, esplodono bombe a Tel Aviv, a Baghdad, ad Ankara, a Tunisi, nel Centro Africa, o quando il Daesh compie nuove stragi e uccisioni, o la Turchia bombarda e assedia i villaggi curdi nel proprio sud-est.
Francesco Moises Bassano, Pagine Ebraiche, aprile 2016