Qui Torino – Fuga, resistenza o resa
Quali sono le possibilità di scelta davanti alle persecuzioni, oppressioni, guerre, sfruttamento? Se da una parte c’è la resistenza, dall’altra c’è la resa, o ancora la fuga dal proprio paese di residenza. Certo è che ognuna di queste opzioni, a suo modo, rappresenta un vero e proprio salto nel buio. L’incertezza applicata all’azione o alla non-azione è stata il filo conduttore della conferenza organizzata dalla Comunità Ebraica di Torino e dalla commissione cultura. Al tavolo dei relatori Franco Segre, consigliere della Comunità, Marco Brunazzi, vicepresidente dell’Istituto di Studi Storici Gaetano Salvemini e Paolo Giaccaria, docente di geografia politica all’Università di Torino. Ad aprire l’incontro David Sorani, per spiegare come il tema sia stato scelto per riflettere sulla resistenza, trasversale a tutte le epoche storiche, fino ad arrivare al presente, dove profughi e rifugiati politici si trovano a dover rischiare scegliendo una via di fuga piuttosto che un’altra. A prendere poi la parola Franco Segre, che partendo dalla domanda “fuga resistenza o resa?”, definisce essenziale il punto interrogativo perché esaminando i fatti non viene fuori di certo una risposta univoca. Segre parte da una ricostruzione della storia ebraica legata ad episodi cruciali per la sopravvivenza stessa del popolo ebraico, proprio per mettere in luce come la domanda e la riposta siano diverse per tutte le epoche. Primo esempio, l’uscita dall’Egitto, definibile sulla base di tre elementi: situazione, la schiavitù, comportamenti, la fuga e risultato, libertà. Va specificato come in questo caso la liberazione sia avvenuta per volontà divina, vista l’assuefazione alla schiavitù e la generale passività. Altro episodio, l’attacco di Amalek nel deserto, ha avuto come risposta coesione e difesa del popolo ebraico, e come risultato la sconfitta del nemico. Durante la dominazione persiana, abbiamo la vicenda di Ester, che vede la vittoria della trattativa per ottenere la salvezza e non la fuga o la ribellione. Con la dominazione romana in risposta alle persecuzioni ci sono stati comportamenti diversi, trattative per alcuni, scontri per altri. Altro caso di oppressione vede come via di fuga la resistenza portata all’estremo: la scelta a Masada è la resistenza ad oltranza fino al suicidio collettivo. È poi Marco Brunazzi a prendere la parola che, prendendo spunto dal breve excursus storico del popolo ebraico fatto di continue fughe, persecuzioni, tentativi di sterminio, cerca di analizzare il perché questo piccolo popolo antico sia sempre e in qualche modo riuscito a sopravvivere, o per lo meno a trarre in salvo un numero di persone, anche se esiguo, che hanno permesso di non perdere tradizioni, cultura e religione. La risposta è da ricercarsi nella “straordinaria duttilità”, non solo tattica, ma anche etica sia della convinzione che della responsabilità. Un esempio di questa salvifica duttilità, continua Brunazzi, la si ritrova se si analizza la risposta degli ebrei alla sfida moderna, alla Secolarizzazione, all’Illuminismo e alla nascita dello stato di diritto, con la seguente scissione tra identità sociale e religiosa. Gli ebrei assumono una “postura di sopravvivenza” in accordo con il contesto sociale .Le principali risposte sono assimilazione a un estremo e sionismo dall’altro. Il movimento sionista è visto quindi come risposta originale alle sfide di quella che era la contemporaneità: cioè i risorgimenti nazionali e poi il socialismo. Segno di questa duttilità del mondo ebraico è quindi l’oscillazione tra chiusura e apertura, tra resistenza o resa, mantenendo però costante l’elemento culturale, vero nucleo che ha permesso la sopravvivenza dell’identità ebraica nel tempo. “Sopravvivenza di quanto basta affinché il popolo sopravvive nel tempo e nello spazio”, spiega. Ultimo intervento di Paolo Giaccaria, che cerca di portare la questione sullo scenario attuale: cosa significa liberarsi, resistere, assimilarsi oggi nel Mediterraneo? Oggi chi scappa lo fa per fuggire da una guerra civile, da conflitti interni. Altre volte si tratta di migrazione di natura economica. Resistenza, fuga, compromesso o resa? Nella guerra civile non c’è una resa e non c’è una possibilità di resistenza. Punto di partenza è l’analisi dell’immaginario spaziale contemporaneo: se la nascita degli stati-nazione per un geografo è legata alla spazialità del confine, con la netta separazione tra il dentro e il fuori, la globalizzazione era vicina all’ idea di mondo senza confini, ma se guardiamo la realtà di oggi l’esito è opposto: ci sono più stati e nuovi muri, come quello tra Stati Uniti e Messico, tra Ungheria e Serbia, tra la Macedonia e la Grecia. Giaccaria conclude chiedendosi se l’attesa sia una forma di resistenza oggi, se la migrazione sia una sorta di resistenza oggi e se il ritorno dei muri sia una sorta di resa della stessa coscienza storica.
Alice Fubini
(21 aprile 2016)