Pagine Ebraiche a Trento Economia
A cosa serve la sharing economy

Schermata 2016-06-05 alle 14.31.27Il mercato del lavoro sta cambiando. La tecnologia e l’avvento di internet lo hanno scosso fin dalle fondamenta e molti posti di lavoro cosiddetti tradizionali stanno sparendo. E con la loro sparizione nuovi ecosistemi si stanno formando, tra cui la sharing economy, l’economia della condivisione, un mondo di cui non sono ancora chiari i confini e di cui si è parlato al Festival Economia di Trento assieme ad Alan Krueger, economista di fama internazionale ed ex consulente economico del presidente degli Stati Uniti Barack Obama. “Su 15 milioni di posti di lavoro creati negli Stati Uniti in questo periodo di ripresa, la gran parte è generata da questo settore economico alternativo”, ha dichiarato Krueger fondatore del Princeton University Survey Research Center, mettendo in luce le caratteristiche del lavoro flessibile, in cui ciascuno è “capo di se stesso”: da Uber e Taskrabbit, fino Airbnb, negli Stati Uniti è boom di prodotti e servizi offerti attraverso nuove piattaforme online. Con dei rischi, molte attenzioni, ma anche diverse opportunità.
L’analisi di Krueger, introdotto dal giornalista Marco Panara, si è concentrata in particolare su Uber, la piattaforma che in diverse città degli Stati Uniti, come ad esempio Los Angeles, sta ormai superando per numero di autisti i taxi tradizionali. Lanciata a San Francisco nel 2010, in pochi anni l’applicazione (app) che mette in collegamento diretto passeggeri e autisti è diventata un vero e proprio fenomeno sociale, entrando nelle abitudini degli Americani.
“Negli Stati Uniti – ha detto Krueger – ci sono 450 mila autisti Uber e il loro numero sta raddoppiando ogni 6 mesi”. “Continuando di questo passo, tra qualche anno ogni americano sarà anche un autista Uber”, ha scherzato l’economista americano, giunto alla quarta partecipazione al Festival dell’Economia (“Ma è sempre meraviglioso, uno dei più bei posti dove i ricercatori si possono confrontare con la gente”).
Battute a parte, la flessibilità nel modello di lavoro creata da piattaforme come Uber si è rivelata fondamentale nell’attrarre nuovi autisti, nuovi lavoratori che in realtà nella vita fanno altro. “Negli Stati Uniti – ha evidenziato Krueger – il 61% degli autisti Uber ha un altro lavoro: sono geometri, insegnanti, agenti immobiliari che scelgono di integrare il proprio reddito prestando la propria auto ed il proprio tempo per trasportare passeggeri nella propria città”.
Un lavoro caratterizzato da un’enorme flessibilità. “Più del 50% lavorano per Uber solo 15 ore a settimana e variano la loro disponibilità e il loro impegno in modo evidente da un giorno all’altro”.
Negli Stati Uniti l’economia legata alla condivisione è aumentata del 47% dalla fine del 2012 e presenta ampi margini di crescita. “Su un campione di 4.700 americani intervistati – ha detto Krueger, il 72% ha dichiarato di aver utilizzato una di queste piattaforme online, il 15% ha utilizzato Uber o sistemi analoghi di trasporto basati sulla condivisione, l’11% ha beneficiato di servizi di home sharing quali Airbnb, il 6% ha comperato prodotti alimentari online”.
Diverso è in Europa dove, ha osservato Krueger, “i Governi stanno facendo di tutto per frenare l’avanzare della sharing economy”.
Un fenomeno che non si può fermare o arginare ma va controllato ed orientato in modo da contenerne gli effetti negativi e far sì che la crescita della sharing economy vada a vantaggio di tutti. “Sono cambiamenti radicali che possono però portare ad un aumento di produttività – ha concluso Krueger – si tratta semmai di creare politiche pubbliche in grado di limitare i costi sociali di questi cambiamenti, aumentando le tutele di queste nuove forme di lavoro, di questa nuova categoria di lavoratori autonomi”.

(5 giugno 2016)