Qui Torino – Talmud, perché tradurlo

20160609_221639La Comunità ebraica di Torino ha voluto ricordare il recente attentato terroristico che ha scosso Tel Aviv. L’Izkor e un momento di riflessione al Tempio piccolo in ricordo delle vittime hanno infatti anticipato la prevista conferenza di presentazione della traduzione italiana del Talmud. “Siamo qui oggi a ricordare con una sensibilità differente persone semplicemente colpevoli di aver preso un caffè al bar”. Queste le poche parole pronunciate dal rabbino capo di Torino, rav Ariel Di Porto. “L’incolumità in quanto ebrei è seriamente in pericolo”, l’amara conclusione del rav.
Dal tempio ci si sposta poi nelle sale del Centro Sociale dove si è tenuta la conferenza, organizzata dalla Comunità assieme alla casa editrice Giuntina. “Serata importante per un tema particolarmente importante, frutto di un progetto di dimensioni enormi, che ha ottenuto un successo superiore ad ogni più ottimistica previsione”, il commento in apertura Dario Disegni, presidente della Comunità di Torino. Al tavolo dei relatori Sandro Servi, redattore capo del progetto, rav Alberto Somekh, direttore della Scuola Rabbinica Margulies-Disegni di Torino e rav Jakov Di Segni, componente del gruppo dei traduttori. A concertare il dialogo e a porre alcuni spunti di riflessione rav Di Porto, che ha interrogato i relatori sulla genesi del progetto, sulla sua sostenibilità, in risposta anche ad alcune critiche legate all’operazione di traduzione, e infine quale sia il sostegno e il valore aggiunto della tecnologia in questa colossale operazione. Il primo a prendere la parola è stato Servi per presentare al pubblico le principali linee guida del progetto e poi soffermarsi sul vero motore dell’operazione: la necessità di rendere il Talmud un testo fruibile a tutti, agli ebrei italiani così come alla società esterna. L’effetto è multiplo, teso anche ad abbattere, tramite la conoscenza, alcuni stereotipi e falsità riguardo al Talmud percepito dagli ambienti antisemiti e dalla società in epoca fascista, e non solo, come opera occulta, misteriosa, immersa nel sospetto. Un’ignoranza violenta che arrivò a bruciare lo stesso Talmud nelle piazze.
La riflessione di Servi ha preso due diramazioni principali: se da una parte si è chiesto che cosa i non ebrei pensavano del Talmud, dall’altra si è soffermato invece sul pensiero degli ambienti ebraici negli anni a cavallo tra fine Ottocento e inizio Novecento. A tal proposito riporta le parole di David Castelli, autore di Leggende talmudiche, una delle prime prove di traduzione, che definiscono il Talmud complesso sia nei contenuti sia nella forma. Castelli è anche uno dei primi a porsi il problema della traduzione: in sostanza ci sono due modi per tradurre un testo, o si cerca di trasferire contenuto dell’opera nel linguaggio del lettore o, all’opposto, di portare il lettore all’interno del mondo in cui l’opera è stata scritta. “Il nostro modo di tradurre – spiegava Servi – è il secondo, anche se Castelli optava per il primo”. Il tema legato alla tecnologia a supporto della traduzione, messa a disposizione dal Dipartimento di Linguistica Computazionale di Pisa, è poi un punto toccato da Servi: si tratta di un programma utilizzato come suggeritore di traduzione. Da qui emerge davvero la complessità assoluta di tale progetto che si basa su estremo rigore, dove la tecnologia è al servizio della conoscenza e agevola il lavoro del traduttore attraverso monitoraggio e controllo costanti. Ha preso poi la parola rav Alberto Somekh che ha fatto riferimento a un passo de Talmud che tratta il tema della fatica e dell’importanza di dare un significato alla propria vita. Per fatica si intende lo sforzo legato allo studio della Torah. “Studiare al fine di insegnare, questo dà scopo alla propria vita”, spiegava il rav. “ Il progetto presentato questa sera ha questo significato”, ha concluso. È stato poi il turno di rav Jacov Di Segni, traduttore e revisore del Trattato di Rosh Hashana, che ha compiuto una sorta di viaggio a partire dalle prime edizioni del Talmud, quindi dai manoscritti del XIV secolo, fino ad arrivare all’edizione Giuntina. Un viaggio nel tempo per far emergere differenze nella stesura e l’evoluzione dell’impaginazione, legata a una diversa prospettiva rispetto all’opera. Dalle prime stampe del 1484, ed. Soncino, poi l’ed. Bomberg stampata a Venezia tra il 1520 e il 1523; segue l’ed. Romm ,Vilna 1880-1886. Dall’ed. Steinsalz 1965 2010 sono stati ripresi il metodo di traduzione e di commento. Poi l’ed. Shottenstein 1990-2012, la prima commentata in inglese e in parte tradotta in francese, fino all’edizione più recente del 2012 di Steinsalz , tradotta in inglese. Infine sottolinea le caratteristiche e i compiti di due figure centrali nella realizzazione di quest’opera: il traduttore e il revisore. Il traduttore deve seguire i principi di chiarezza, precisione, sinteticità e scorrevolezza. Il revisore stabilisce la correttezza della traduzione e della Halakha.

Alice Fubini