L’opinione degli economisti“Brexit apre il campo ai populismi”
“Sull’effetto di Brexit stanno parlando i mercati. Ci aspettano mesi turbolenti. Le borse continueranno a scendere. La stabilità politica e sociale si scontrerà con i populismi e i nazionalismi, che dal voto del referendum si sentono rafforzati, dalla Le Pen in Francia a Podemos in Spagna”. Non lascia molto spazio all’ottimismo l’analisi dell’economista e firma del Corriere della Sera Roger Abravanel in merito al futuro dell’Europa dopo la scelta della Gran Bretagna, attraverso il referendum sulla famosa Brexit, di uscire dall’Unione europea. A colloquio con Pagine Ebraiche, Abravanel, direttore emerito di McKinsey ed iscritto alla Comunità ebraica di Milano, analizza a caldo il risultato del voto d’Oltremanica, spiegando che lascerà un forte segno sull’Europa e rischia di destabilizzare anche l’Italia. Un po’ pessimista ma comunque preoccupato il giudizio di un altro economista legato alla Keillah milanese, Fabio Ranchetti, docente di economia all’Università di Pisa. “Non sarà facile. Il voto su Brexit è un segno pessimo. Un’Europa così non può funzionare, con sole Germania e Francia ad avere il ruolo dominante. Secondo alcuni però potrebbe essere un’occasione per l’Ue di cambiare in meglio. Io non ne sono molto convinto ma vedremo”. Sia per Ranchetti che per Abravanel il grande imputato è la politica dell’Unione europea, o meglio i politici. “Stiamo scontando il fatto che la classe dirigente attuale dell’Europa è immobile ed è incapace di rispondere alle problematiche di una situazione che si è incancrenita col tempo”, sottolinea Ranchetti, parlando dell’aumento delle diseguaglianze e di un ascensore sociale che praticamente non c’è. “L’Europa ha fallito – la netta valutazione di Abravanel – Manca un disegno politico comune, fatica su tutto: sulla Difesa, sulle banche, dove è vero che c’è una banca centrale ma comunque rimangono quelle nazionali”.
Secondo la firma del Corriere della Sera, la questione dell’immigrazione ha inciso molto sulla decisione dei britannici di uscire dall’Unione europea. “È stata pompata la paura. I populismi hanno sempre bisogno di un nemico comune: nel Mein Kampf erano gli ebrei; in questo caso l’immigrazione. Gli inglesi seduti davanti alla televisione vedevano le immagini di orde di migranti che sbarcavano in Europa e hanno cominciato ad essere terrorizzati”. “E chi ha votato a favore di Brexit sono soprattutto quelle classi sociali meno abbienti che hanno paura per i loro posti di lavoro”. L’ignoranza, continua Abravanel, ha avuto il suo peso. Una questione sottolineata anche da Ranchetti che ricorda come “a Londra, a Cambridge, a Edimburgo la stragande maggioranza di chi ha votato, ha scelto il remain. Mentre la periferia ha votato per l’uscita”. Per Ranchetti è la dimostrazione del carattere della Gran Bretagna, da sempre divisa in due spaccati, da una parte quella più insulare e conservatrice, dall’altra quella più aperta al mondo. “Ma è così dai tempi di Shakespeare e avanti. Adam Smith sapeva parlare perfettamente l’italiano. Hume era un grande viaggiatore. L’Inghilterra è storicamente divisa in due anime”. A questo, continua il professore, si aggiunge l’attuale squilibrio tra le varie componenti “della Gran Bretagna, fortemente segnata dalle diseguaglianze, dal divario culturale, economico e sociale. La scollatura tra la classe intellettuale e politica e le classi popolari continua ad aumentare”. Oltremanica così come nel continente europeo. “La gente normale è stanca di vedere il successo degli altri, non ne più di un ascensore sociale che non funziona. Veda l’esempio di Beckham: lui (come altri nomi famosi) si è detto pubblicamente a favore del rimanere. Però i suoi tifosi hanno votato contro”.
Altro elemento su cui i due economisti sono d’accordo, l’inopportunità di questo referendum. “Come si fa a fare un referendum su una questione su cui il 95 per cento di chi va a votare non è praticamente in grado di capirla?”, l’interrogativo di Abravanel. “In una bella lettera firmata anche da JK Rowling (autrice di Harry Potter) si spiega perché questo referendum non era da fare. Questa idea di una democrazia in cui gli eletti delegano la responsabilità delle decisioni agli elettori non può funzionare”.
Daniel Reichel
(24 giugno 2016)