Verso il 17 di Tamuz – Lo storico compromesso
I nostri Maestri si sono sforzati di trovare in avvenimenti della Torah la fonte più antica di istituzioni assai più tarde. Un caso di questo genere è il Digiuno del 17 Tammuz, che apre le tre settimane estive di lutto. La Mishnah (Ta’anit 4,6) elenca cinque eventi tragici avvenuti in questa data e il più antico è la rottura delle Tavole della Legge da parte di Moshe a seguito della colpa del Vitello d’Oro. Mi domando: quali sono le responsabilità di questa gravissima trasgressione che tante conseguenze negative ha avuto per il nostro popolo? In particolare, qual è il significato del versetto che dice: “…il vitello che aveva fatto Aharon” (Shemot 32,35)? Come può il fratello di Mosheh aver permesso un fatto simile? Un’altra Mishnah (Meghillah 4,10), riferendosi all’uso più antico di accompagnare con una traduzione aramaica (Targum) la lettura pubblica della Torah affinché il pubblico di allora comprendesse meglio il senso del testo, scrive che quando si giungeva a questi versetti ci si asteneva dal tradurli per pudore! Tutto cominciò quando Mosheh fu chiamato sul Monte Sinai per ricevere la Torah: nominò suoi sostituti il fratello Aharon e il nipote Chur, figlio di sua sorella Miriam, dicendo che “chi avesse avuto contese avrebbe potuto rivolgersi a loro” (Shemot 24,14). Insomma, li nominò giudici al suo posto (Rashì ad loc.). Come mai solo di Aharon si continuerà a parlare in seguito, mentre di Chur si perdono le tracce? Il Midrash spiega che quando la “gran moltitudine” avanzò la richiesta di una divinità alternativa si rivolse per prima cosa a Chur, che dei due era il più giovane sperando forse in una maggiore malleabilità. Ma Chur negò il permesso e per conseguenza fu ucciso. Per questo fatto Chur viene ricordato nella Torah fra gli antenati di Betzalel l’artefice del Mishkàn: la costruzione del Tabernacolo fu affidata a suo nipote perché il merito del suo sacrificio fosse eternato. Quando dunque si rivolsero in seconda battuta ad Aharon, questi affrontò l’argomento in modo diverso. Non che Aharon abbia ceduto temendo per la propria vita! Era per lui una questione di principio. Nelle Lamentazioni è scritto infatti: “non sia ucciso nel Santuario di H. un kohèn, nè un profeta” (Eykhah 2,20)! Aharon sapeva che se dopo aver ammazzato il profeta (tale era appunto Chur, in quanto figlio di Miriam “la profetessa”) avessero ucciso anche il kohèn, il popolo sarebbe incorso in una trasgressione irreparabile (così sarebbe infatti accaduto secoli dopo: l’uccisione del kohèn Zekharyah ben Yehoyadà’ provocò, secondo una tradizione, la distruzione di Yerushalaim da parte di Nevukhadnetzàr – 2Cron. 24, 20 sgg.; Ghittin 57b). Aharon, da amante della pace qual era, offrì pertanto al popolo un compromesso: consentì loro il Vitello d’Oro, contando che successivamente avrebbero fatto teshuvah, per evitare una trasgressione peggiore. Tutto il passo talmudico in Sanhedrin 7a è effettivamente una lode del compromesso. La Halakhah viene stabilita in base all’opinione di R. Yehoshua’ ben Qorchah secondo cui quando le parti si presentano in giudizio è mitzwah livtzoa’: il Bet Din deve offrire loro in via preliminare il compromesso come alternativa alla sentenza. Quest’ultima infatti stabilisce la verità, ma scontenta quella parte che esce perdente. Se c’è sentenza, commenta il Talmud, non c’è pace, eppure è scritto “verità e sentenze di pace giudicate nei vostri tribunali” (Zecharyah 8,16). Qual è il mishpat che ha in sè anche lo shalom? Il compromesso. D’altronde, ricorda il Talmud, in Tehillim 10, 3 è anche scritto che è degno di esecrazione non solo colui che ricorre al compromesso (botzèa’), ma persino chi lo auspica e lo benedice! Come chi? Aharon! Il Meirì spiega l’apparente contraddizione. Il compromesso è effettivamente commendevole solo nelle controversie economiche, ma dove sono in gioco proibizioni della Torah non è ammissibile che un giudice permetta qualcosa di vietato per evitare un’altra trasgressione. Questo fu l’errore di Aharon: aver permesso un atto di idolatria per evitare uno spargimento di sangue. Entrambe le trasgressioni, a ben vedere, sono della massima gravità: di quelle alle quali chiunque dovrebbe preferire la morte. Un altro passo talmudico (Shabbat 4a) dice che “non si propone a chicchessia di trasgredire pur di salvare terzi da una trasgressione a loro volta”. Ben venga perciò il compromesso nei rapporti fra l’uomo e il suo prossimo, ma non dove si tratta dei nostri rapporti con il Santo Benedetto. Ma è proprio vero che il compromesso in materia di Torah è sempre mal visto? Ci sono alcuni casi di proibizioni in cui almeno in apparenza la Torah stessa concede spazio ad una valutazione in senso permissivo se ciò può condurre ad evitare trasgressioni peggiori. Il più famoso è forse quello della “donna di bell’aspetto” tra i prigionieri di guerra. La Torah permette al soldato ebreo che se ne sia innamorato di sposarla dopo un mese in cui le veniva concesso di piangere per la propria sorte e per le persone care irrimediabilmente lontane (Devarim 21, 10-14). Peraltro Rashì commenta che “la Torah parla qui in funzione dell’istinto cattivo: se il S.B. non l’avesse permessa, egli se la sarebbe accaparrata comunque, commettendo una trasgressione. Ma una volta che la sposa, finirà per detestarla e per avere da lei un figlio ribelle. È per questo che subito dopo la Torah tratta questi argomenti”. Altri commentatori osservano che il mese di lutto di lei aveva lo scopo di dare a lui il tempo di placare la sua passione, rivedere la decisione presa e giungere a rimettere la donna in completa libertà. Eliminare il gusto del proibito “liberalizzando” il divieto, sia pure dopo aver creato dei vincoli adeguati, allo scopo finale di farlo accettare è una strada difficile che peraltro la Torah non esclude in certi casi. Certo, ci vuole una sapienza superiore, che solo la Torah può avere.
Alberto Moshe Somekh, rabbino
Pagine Ebraiche, luglio 2014