I bambini e il male

Sara Valentina Di PalmaConversavo, lo scorso Erev Shabbat, con un ragazzino decenne, esperienza sempre interessante quando trattasi di figli altrui provenienti da modelli educativi, esperienze e caratteri diversi da quelli cui sono avvezza. Il bambino mi esortava a rispondergli in merito a terrorismo islamista, kamikaze dei nostri giorni ed altre oscenità affini che negli ultimi mesi stanno avvicinando sempre di più noi Europa al modus vivendi israeliano, sebbene non lo vogliamo ammettere e non abbiamo quindi la coerenza e il coraggio di reagire all’israeliana appunto, operando capillarmente sulla prevenzione diffusa e sull’implementazione di sistemi difensivi.
Mentre lui ed io discorrevamo, e pensavo quanto fosse triste che un decenne avesse davanti agli occhi la barbarie di questa violenza, mi è sovvenuto che, a ben vedere, purtroppo anche le generazioni precedenti la sua sono state costrette a confrontarsi con diverse forme di terrore.
Per me, ed in particolare in questi giorni, terrorismo è la strage di Bologna, sulla quale proprio la scorsa settimana è stata inaugurata una bella mostra fotografica, Due minuti dopo, la quale si cala nel punto di vista dei soccorritori attraverso immagini del fotoreporter bolognese Paolo Ferrari.
Come molti soccorritori i quali erano già in ferie e, sentito dell’accaduto,tornarono a Bologna per aiutare, anche Ferrari era appena partito per le vacanze, quel 2 agosto 1980, ma avvertito dell’esplosione (una caldaia, si pensava e fu indotto a credere erroneamente all’inizio) fece immediatamente rientro. “Io che ho vissuto il periodo della guerra”, racconta il fotografo intervistato da Massimo Marino per il Corriere di Bologna il 20 luglio del 2010, “ebbi l’impressione fosse caduta una bomba da 500 libbre”. La devastazione di una guerra, insomma, quella provocata alle 10.25 di sabato 2 agosto nella sala d’aspetto della seconda classe. L’orologio fermo su quell’ora, insieme alle immagini dell’autobus 37 che con molti taxi cittadini e autovetture private supplirono alla carenza dei mezzi di soccorso, da allora è simbolo del più grave atto terroristico avvenuto in Italia, nonché aggiungerei di un certo vizio nostrano al depistaggio, nonostante la matrice eversiva neofascista apparve subito plausibile.
Fatto sta che, ad oggi, nonostante l’inquadramento della bomba di Bologna, secondo la verità giudiziaria, all’interno della strategia della tensione in cui convivevano terrorismo neofascista e terrorismo autoritario di Stato, restano valide anche altre ipotesi, compresa quella della rottura cosiddetto “lodo Moro” (ovvero l’accordo segreto tra il governo italiano e la dirigenza palestinese, in base al quale i terroristi palestinesi potevano trasportare liberamente armi attraverso l’Italia garantendo in cambio immunità da attentati), rottura causata dall’arresto per la detenzione di missili del terrorista Abu Anzeh Saleh, referente in Italia del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina.
Una protratta tendenza filo palestinese nella politica italiana, e l’incapacità di opporsi con fermezza al terrorismo, sino ad accettare di venire a patti con i perpetratori, mi fa pensare che l’unica risposta sia il montaliano “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, e ciò che spero non vogliamo essere nel rispondere, oggi, alle nuove sfide del terrorismo globale.

Sara Valentina Di Palma

(4 agosto 2016)