Arrestato in Libia leader dell’Isis, reclutava in Italia futuri jihadisti
Abu Nassim, il contatto tra jihadisti in Libia e l’Italia, sarebbe stato preso al confine con la Tunisia. Il Corriere usa il condizionale, sottolineando come la situazione in Libia sia molto confusa e capita che notizie come questa si rivelino false. Nassim era il ricercato numero uno dalle autorità di Tunisi, che lo considerano il responsabile del blitz dell’Is dello scorso marzo a Ben Guerdane, con 58 vittime. Attivo da mesi in Libia, per il suo passato in Italia è considerato dall’intelligence libica parte di una rete di islamici ancora operativi nel nord del nostro Paese, racconta Repubblica, che, sulle pagine milanesi, intervista Guido Salvini, il giudice che nel 2009 seguirà l’inchiesta a carica di Nassim. La Stampa parla di una rete di estremisti cresciuta in Lombardia: “Tra Milano e la Lombardia c’è il maggior numero di personaggi all’attenzione dei nostri servizi segreti e dell’Antiterrorismo. Dalla Lombardia è partita anche la gran parte dei ‘foreign fighters’ italiani, che ora però non sognano più il martirio in Afghanistan al fianco di Bin Laden, ma il Califfo che si è insediato a cavallo tra Siria e Iraq”.
Onore ai libici che lottano contro il Califfato. Il filosofo francese Bernard-Henri Lévy sul Corriere parla di quella che sembra oramai imminente, la caduta di Sirte, ultimo bastione dell’Isis in Libia. “È un nuovo fronte dove, nella guerra che ha dichiarato al mondo, Daesh viene sbaragliato. – scrive il filosofo – E lo si deve, che piaccia o no, a quei Libici Liberi, ultimi arrivati della Storia, senza memoria repubblicana o anche solo politica, di cui possiamo esser fieri di aver abbracciato la causa (ma che abbiamo, in seguito, piantato in asso – salvo poi disperare del loro avvenire, col pretesto che l’esito della loro rivoluzione era più deludente di quanto potessimo immaginare). L’Occidente , in realtà, ha commesso a su o tempo un solo errore: non accompagnare questo popolo per qualche passo in più sul cammino della democrazia alla quale aspirava e – a quanto pare – aspira tuttora”.
Ernst Nolte (1923-2016). È morto ieri a 93 anni lo storico tedesco Ernst Nolte che, nelle parole de La Stampa, rappresentò “il negazionismo dal volto umano”. Il quotidiano torinese spiega che Nolte ha utilizzato la “storiografia come disciplina da impiegare ‘retroattivamente’ anche nell’interpretazione del presente, e che alla normalizzazione e al ‘superamento del senso di colpa’ della Germania per il nazismo e la Shoah ha consacrato la propria opera. Ma il suo paradigma relativistico estremo faceva da maschera alle finalità reali e al pensiero autentico di un profeta dell’antisemitismo e del negazionismo, convinto delle ‘buone ragioni’ dell’aberrante e mostruosa ideologia nazionalsocialista”. Tra i suoi critici, Gian Enrico Rusconi che su La Stampa scrive, Nolte rimarrà nella storiografia come un autore estremamente controverso, ma motivo di importanti riflessioni critiche. Molti dei concetti associati alla sua ricerca sono diventati indispensabili nel dibattito storiografico: revisionismo/negazionismo, ‘passato che non passa’, ‘uso pubblico della storia’, ‘guerra civile europea’”. Per Repubblica “voleva ‘cancellare il passato che non passa’ equiparando la Shoah ai crimini dei gulag”. Giudizio più favorevole allo storico tedesco, quello espresso da Sergio Romano sul Corriere della Sera.
Siria, la guerra nel volto di un bambino. Il Corriere racconta la storia di Omran Daqnish, bimbo siriano estratto dalle macerie ad Aleppo e diventato, grazie a una fotografia, il simbolo dell’attuale tragedia della città e del popolo siriano. Nello scatto si vede il suo volto coperto di sangue e di polvere e lo sguardo perso nel vuoto. La sua città, Aleppo, è stata violentemente bombardata dai russi (al fianco del dittatore Assad) e la Nato ha ottenuto una fragile tregua di 48 ore. Ma la situazione è tragica e Stati Uniti e Occidente non hanno il controllo della situazione in mano a Mosca, Ankara e Damasco, scrive la Stampa, raccontando di un possibile accordo a tre tra questi Paesi.
Burkini sì, burkini no. Continua il dibattito sulla questione dell’abbigliamento, iniziato dopo la decisione di alcuni comuni francesi di vietare il costume integrale usato dalle donne musulmane e chiamato burkini. In Francia, l’iniziativa ha trovato il favore del premier Manuel Valls mentre in Germania la cancelliera Angela Merkel si è schierata contro il burqa, in quanto “ostacolo all’integrazione” (Repubblica). “Condivisibili o meno tali atteggiamenti, – scrive Renzo Guolo sulla prima di Repubblica – si tratta di capire se il divieto favorisce o meno quella liberazione della donna che, nominalmente, si vuole perseguire. Oppure se, come prevedibile, non rischi di generare l’effetto contrario”.
Daniel Reichel twitter @dreichelmoked
(19 agosto 2016)