RiMEIScolando – Peres e l’Italia

simonetta della setaTel Aviv, ore 7.05. I figli, Zvia, Chemi e Yoni, ai quali va il nostro abbraccio e il sostegno, hanno appena annunciato al popolo di Israele e al mondo che Shimon Peres ci ha lasciati. Aveva 93 anni, ma sembrava eterno.“La grande perdita tocca tutti – ha detto Chemi – perché lui ha dedicato la vita intera a Israele”. Scorrono dentro i ricordi di un uomo speciale, che ha accompagnato anche la mia vita per oltre trent’anni. Mentre la sua voce inconfondibile ci parla ancora da Kol Israel, la radio israeliana, decido di rendergli omaggio condividendo su Pagine Ebraiche alcuni momenti in cui il nono Presidente dello Stato d’Israele ha lanciato dei messaggi sull’Italia e sull’ebraismo italiano.
Gli incontri con lui sono stati tanti, come giornalista, come direttore dell’Istituto italiano di Cultura, come Consigliere dell’Ambasciatore d’Italia, ma anche sul piano semplicemente personale.
Voglio partire proprio da uno di questi, in cui mi rivelò quanto fosse fiero del nome Shimon, che ci accomunava. Mi spiegò: “Le lettere SHIN MEM e AY’IN sono la radice del verbo LISHMO’A, ascoltare: siamo nati per ascoltare. Sono le lettere di SHEMA’ ISRAEL: dunque il nostro destino è ascoltare la voce di Israele. La SHIN è un sibilo che esce da noi: significa che siamo in grado di comunicare. Per pronunciare la MEM, dobbiamo invece serrare le labbra e saper tacere. La lettera AY’IN ha infine la forma di un abbraccio: sappiamo abbracciare e dobbiamo abbracciare”.
Shimon Peres era un lettore accanito. E amava citare i testi ebraici, e ovviamente quelli legati all’epopea della costruzione di Israele. Quando si parlava dell’Italia, amava cantare le prime strofe di una bellissima poesia di Nathan Alterman, messa in musica da Yair Rosenblum, dedicata a un capitano italiano che dopo la guerra aveva portato sulla sua nave fino alla Terra di Israele un gruppo di ebrei sopravvissuti alla Shoah. Ricordando quanto l’Italia avesse aiutato gli ebrei a tornare alla propria patria, Peres cantava: “Nubi sopra di noi, forte il vento. L’impresa è stata compiuta. Grazie al cielo. Alziamo il calice, Capitano, per esprimere la nostra gratitudine. Torneremo a incontrarci sul mare”.
Sempre parlando di Italia, raccontava spesso un altro aneddoto, che cito come lo ritrovo sui miei appunti di un incontro. “Nel 1926 Chaim Arlosoroff, uno dei leader del partito sionista socialista, viaggiava dalla Palestina, attraverso l’Italia, per partecipare a una conferenza a Varsavia del movimento sionista HeChalutz (Il Pioniere). Durante il viaggio, trascorse un giorno a Napoli e da qui scrisse alla sua futura moglie: Ho girato per cinque ore tra le vie e i vicoli di Napoli. Qui si sente fortemente di essere in uno di quei luoghi in cui il movimento (risorgimentale) italiano ha combattuto, solo poche decine di anni or sono, per la libertà. La città è piena di questi ricordi: Silvio Pellico, Confalonieri, ed ovviamente Mazzini, Garibaldi….. il nostro Risorgimento è molto più difficile… tuttavia, forse, e nonostante tutto… anche noi otterremo la nostra patria”. Aggiungeva Peres: “Queste osservazioni ci suggeriscono quanto l’immagine del Risorgimento fosse presente nella coscienza dei pensatori sionisti. Effettivamente è una ispirazione che viene da lontano ed è illustrata al meglio in uno dei primi testi del sionismo moderno, quello scritto da Moses Hess nel 1862 e titolato Roma e Gerusalemme. L’Idea di Hess – la nazionalità è l’individualità dei popoli – era vicinissima al principio di Mazzini che solo diventando un cittadino della propria nazione si può diventare un cittadino del mondo”.
Shimon Peres è stato cittadino del mondo perché era fino in fondo padre, costruttore, amante e cittadino del suo Paese. A Israele ha dedicato la vita, il pensiero e l’azione. A Israele lascia un dono indelebile: la speranza. “La speranza non si cancella”, amava ripetere. “La speranza è una visione della vita che andrebbe insegnata assieme all’alfabeto e alla matematica”. E ancora: “ricorda che la verità è una parola al singolare, ne esiste una sola, ma ha tante voci e dobbiamo sempre tendere l’orecchio per cercare di sentirle tutte, anche quelle più deboli”. Shimon Peres amava il nostro Paese, che ha visitato per l’ultima volta solo qualche settimana fa. In Italia aveva molti amici. Dell’Italia amava anche la bellezza, il carattere, l’accoglienza e la generosità. Aveva letto Alberto Moravia, Natalia Ginzburg e Giorgio Bassani, delle cui origini ebraiche era fiero. Cantava le arie del Nabucco di Verdi e dell’Aida. Sognava e insegnava di portare altrettanta fioritura culturale in Israele. Lo ha fatto. Il sogno sarà coronato un giorno anche dalla pace.
Nel ricordare a pochi mesi dalla sua scomparsa una sua grande amica italiana, Rita Levi Montalcini Peres disse: “Sapete quando la civiltà è veramente nata? Quando è stato introdotto uno strumento molto primitivo: lo specchio. Prima dello specchio non si pettinavano i capelli e non si tagliavano le unghie. Da quando esiste lo specchio, ognuno si lava ogni mattina senza che ci sia alcuna imposizione da parte del governo. Se riuscissimo a dare uno specchio al nostro cervello, sono sicuro che il mondo diventerebbe un posto migliore. Vedo Rita non attraverso quello che ha conseguito nel passato ma attraverso lo specchio della sua visione per il futuro. Mi riporta al suo appello agli italiani, affinché non si perdano mai, soprattutto come persone e come individui. Il mondo è globale ma noi siamo individui. Più cresce la globalità, più dobbiamo rafforzare la nostra individualità. Questa è per me filosofia, amore, esperienza, da tutti gli angoli. E in tale visione, non posso vedere un partner migliore per il nostro futuro dell’Italia, con la vostra terra, il vostro popolo, la vostra storia e la vostra visione del futuro”. Grazie a Shimon Peres, anche per questa ispirazione e questo appello. Che il suo ricordo sia di benedizione.

Simonetta Della Seta,
direttore del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah

(28 settembre 2016)