ORIZZONTI Il sociologo: “Così dall’antisemitismo si arriva al terrorismo”
Ha scritto Paolo Mieli in un editoriale pubblicato sulla prima pagina del Corriere della Sera negli scorsi giorni: “Alle solite. L’emozione mediatica per l’uccisione, domenica, da parte di un palestinese di due cittadini di Gerusalemme (una donna e un poliziotto) è stata pressoché nulla. Come se ci si fosse trovati al cospetto di un non evento. Eppure si trattava di un accadimento doloroso ma simile a tanti altri che di trepidazione ne hanno provocata molta” si legge nell’articolo. “Un po’ quel che accade sempre più spesso in Europa e negli Stati Uniti dove ultras islamisti muovono all’attacco di cittadini inermi, colpevoli solo di trovarsi lì per caso. Solo che se questi cittadini sono ebrei, la pietà generale si fa più tenue”, nota ancora il giornalista, già due volte direttore della testata.
È proprio analizzando questa incongruenza, che lo studioso Shmuel Trigano, professore emerito di sociologia all’Università di Parigi, spiega come gli attacchi terroristici che hanno trafitto la Francia nell’ultimo anno arrivino dopo, e siano la diretta conseguenza, di un decennio e oltre di aggressioni contro la sua comunità ebraica. Aggressioni spesso ignorate, minimizzate, in qualche modo giustificate alla luce di una presunta correlazione con gli accadimenti in Medio Oriente, in un crescendo di violenza impunita e maggiormente organizzata che è arrivata infine a partorire anche Charlie Hebdo e Nizza.
“Un decennio e più passato a sottovalutare o ignorare la violenza antisemita ha garantito a coloro che lo praticavano una forte esperienza nell’arte del negare le realtà del jihadismo e quindi contribuito a creare la attuale confusione” ha scritto Trigano in un saggio pubblicato dal quotidiano francese Le Figaro. Il sociologo per esempio riporta l’ammissione di Daniel Vaillant, ministro dell’interno transalpino tra il 1995 e il 2014, secondo cui il primo ministro Lionel Jospin (1997-2002) aveva esplicitamente richiesto di mantenere un basso profilo “per non aggiungere benzina al fuoco”. “La Francia dunque ha sacrificato i suoi cittadini ebrei sull’altare dell’ordine pubblico e dell’ideale del vivre ensemble (vivere insieme)” punta il dito Trigano, che ricorda come troppo spesso la classe dirigente abbia in effetti fornito un alibi a quanto accadeva attribuendone la responsabilità a situazioni di povertà o emarginazione sociale. “Quel che è ancora peggio, diventò utile colpevolizzare Israele e dunque per estensione gli stessi ebrei francesi – si legge ancora – La rispettabilità dell’anti-sionismo rese rispettabile il più evidente antisemitismo”.
A rompere parzialmente il meccanismo furono gli attacchi di Mohammed Merah che nel 2012 uccise tre soldati francesi (e musulmani) prima di colpire una scuola elementare ebraica a Tolosa assassinando tre bambini e un insegnante, e poi la strage di Charlie Hebdo, che fu seguita a poche ore di distanza da quella del supermercato HyperCacher. “Senza i primi omicidi, quelli al supermercato casher sarebbero stati inseriti nella categoria ‘ebraica’ e quindi non considerati un problema della Francia nel suo complesso. Lì divenne più chiaro che a essere minacciata era l’intera società”.
Trigano conclude indicando la forte necessità per i leader francesi di imparare a chiamare i problemi con il loro nome, e ad affrontarli. Non proibendo il burkini (un classico esempio di come nel paese si preferisca guardare ovunque tranne che alle questioni vere, secondo il professore), ma andando alla sostanza dell’attacco, senza aver paura del politicamente corretto.
Rossella Tercatin