MUSICA E LINGUAGGI Ombre di Robert Zimmerman

volti-dylanSe vi chiedete perché dopo il Nobel Bob Dylan si è chiuso nel silenzio sul grande schermo potreste di trovare parecchie risposte. L’ultima arriva nel 2007, grazie a Todd Haynes, tessitore di mirabili ritratti d’epoca. L’ambizione è raccontare Bob Dylan sotto diverse prospettive. Ma, come si annuncia fin dal titolo “Io non sono qui”, acchiapparlo è impossibile perché il menestrello del rock è un work in progress così inarrestabile e mutevole che per dargli volto e voce Todd Haynes alterna ben sei attori. Sei volti per un solo personaggio è senz’altro da record, soprattutto se si tiene conto che uno di sei è una donna. Todd ruota un caleidoscopio d’attori – Christian Bale, Marcus Carl Franklin, Richard Gere, Heath Ledger, Ben Winshaw e un’androgina Cate Blanchett che per quest’interpretazione spunta la Coppa Volpi come migliore attrice protagonista. Il film intreccia le storie di sei personaggi, ciascuno ispirato a diverse età e aspetti di Bob Dylan, e lui appare in carne e ossa solo alla fine, in una ripresa di fine anni Sessanta. Quello di Haynes è un film complesso che aspira a fotografare un’epoca e un’icona. Dichiarandosi ispirato “alla musica e alle molte vite di Bob Dylan”, il lavoro suggella il mito della sua elusività: Dylan cambia e svolta così veloce che appena lo vedi è già da un’altra parte. Nel 2005 con il mistero Bob Dylan si era cimentato Martin Scorsese: domata una mole immensa di materiali originali, tra cui dieci ore di intervista allo stesso Dylan e infiniti filmati d’archivio, Scorsese aveva incapsulato in un bel lavoro gli anni in cui Dylan diventa famoso come folk singer per poi tra infinite polemiche passare al rock. Sono oltre tre ore di immagini per raccontare una manciata di anni, quelli dal 1961 al 1966, destinati a cambiare la cultura americana, non solo dal punto di vista musicale (Blowin in the Wind è del 1962). Ancora prima, a esplorare il personaggio Dylan si erano susseguiti fior di lavori. In Festival! (1967), candidato all’Oscar, Murray Lerner aveva documentato tre anni del Newport Folk Festival, dal 1963 al 1965. Bob Dylan vi compare nel celebre set del 25 luglio ’65, quando da’ il via alla svolta elettrica. Dello stesso anno è il lavoro di D.A. Pennebaker. In Don’t Look Back (1967) il regista documenta la tournée inglese del 1965, l’ultima che vede Dylan suonare in versione acustica, insieme a Joan Baez, Donovan e Bob Neuwirth. Lo stesso tour tornerà sul grande schermo in 65 Revisited (2007) in cui, quarant’anni dopo, Pennebaker rimonta, con uno sguardo diverso, le vecchie scene aggiungendone altre eliminate nella prima versione. E un’altra tournée inglese, quella del 1966 insieme agli Hawks, è al centro del documentario girato da Pennebaker, questa volta sotto la direzione dello stesso Bob Dylan e intitolato Eat the Document (1972). A coronare il filone, The Other Side of the Mirror: Bob Dylan at the Newport Folk Festival (2007) diretto da Murray Lerner che, nello stesso anno in cui esce il film di Todd Haynes, assembla le apparizioni di Dylan al festival in tre annate successive: 1963, 1964 e 1965. Ma mettete per un attimo da parte i documentari e abbandonatevi alle cure dei fratelli Coen. In A proposito di Davis (2013) il protagonista (Oscar Isaac), ispirato al folksinger Dave Ronk, ci porta per mano nel cuore di un mondo che cambia. Dopo una serie di peripezie Llewin Davis è costretto a gettare la spugna. Alla fine della sua ultima esibizione, sale sul palco un giovane cantante sconosciuto che di nome fa Bob Dylan. È la fine di un’epoca. È l’inizio del lungo regno del novello Nobel per la letteratura.

Daniela Gross, Pagine Ebraiche, novembre 2016