ebraismi…

Tre giorni di congresso rabbinico a Gerusalemme sono un’occasione per pensare, ascoltare, riflettere e incontrare amici e colleghi: dal rabbino capo di Atene, giovanissimo maestro dai grandi orizzonti, fino agli amici e maestri italiani con i quali condivido lingua madre, preoccupazioni, speranze e lavoro per la diaspora Italiana.
Ma un congresso mondiale è anche un’occasione per guardarsi intorno, per percepire le realtà ebraiche lontane da me, per scoprire quanto e se sono cambiati gli ebraismi del mondo. Uno dei segnali di questi cambiamenti può essere, per esempio, una certa uniformità nel vestire: si contano sempre più teste coperte da un certo tipo di cappelli di colore nero, che esprimono l’appartenenza a un certo tipo di mondo e una certa visione dell’Ebraismo. Ci sono poi i cappelli di un mondo che resiste: i Borsalino dei nostri nonni, quelli che indossavano i maestri delle scorse generazioni e ancora indossano alcuni nostri maestri, con colori che non sempre sono neri, ma si abbinano al grigio del vestito, a volte al blu scuro, a volte al marrone. Perché ciò che ci mettiamo in testa e quello che indossiamo invia messaggi al mondo, basti pensare a quanti versetti la Torah dedica ai vestiti del Cohen, dove i colori erano tutt’altro che assenti: “All’orlo inferiore del manto, tutto intorno, farai delle melagrane di colore violaceo, porporino e scarlatto; in mezzo a esse, tutt’intorno, porrai dei sonagli d’oro.” (Esodo 28,33).

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino

(6 gennaio 2017)