Giacobbe…

Il patriarca Giacobbe prima di morire riunisce i figli e rivolge a ciascuno di loro le sue ultime parole, per alcuni richiamandosi in modo allusivo ad episodi positivi o negativi che li avevano visti protagonisti.
I giudizi più severi riguardano Simeone e Levi, autori di un sanguinosa punizione collettiva nei confronti della città di Shekhem, il cui principe aveva rapito, violentato e tenuta in ostaggio Dinah, l’unica figlia femmina di Giacobbe. “Simeone e Levi sono fratelli, le loro spade sono strumenti di violenza, l’anima mia non entri in associazione con loro, possa il mio onore non essere identificato con la loro assemblea, perché nella loro collera hanno ucciso uomini, nella loro determinazione hanno storpiato buoi. Maledetta la loro ira che è violenta, e la loro furia che è crudele, li dividerò in Giacobbe li disperderò in Israele” (Genesi 49, 5-7).
Giacobbe condanna senza mezzi termini e si dissocia radicalmente da una spropositata azione di giustizia sommaria compiuta dai due fratelli, sia pure in reazione ad un crimine spregevole. Cosa significa però la sentenza che il patriarca, esprimendosi con spirito profetico ispirato dal Signore, emette nei confronti di questi due figli: “Li dividerò in Giacobbe li disperderò in Israele”? Nel significato letterale, la predizione si riferisce al fatto che le tribù di Levi e Simeone, che sarebbero discese dai due fratelli, non avrebbero avuto parte – per motivi diversi- nella suddivisione della terra d’Israele, per cui i loro membri si sarebbero in un certo senso trovati dispersi nel territorio di altre tribù, come avvenne per il gruppo di Simeone inglobato in quello di Giuda, o addirittura in mezzo a tutto Israele, come fu per i Leviti.
Izhak Arama, un grande maestro sefardita esule dalla Spagna (morì a Napoli nel 1494), nel suo commento Akedat Izhak, sviluppa un’interpretazione metaforica, nella quale la “dispersione” di Simeone e Levi è riferita non tanto alle persone fisiche appartenenti a queste tribù, quanto all’ira e alla furia espresse in quella circostanza: “L’eccesso di ira e di collera è certamente dannoso, tuttavia in misura modesta, in alcune occasioni (queste) sono utili e possono servire a guidare la casa o lo stato. Per questo conveniva che l’ira e la furia che erano concentrate (con esiti disastrosi) nei due fratelli Simeone e Levi, venissero suddivise in tutte le tribù, affinché tutte quante ne cogliessero la giusta parte, per il loro bene e per quanto sarebbe stato loro necessario, e non rimanessero raccolte (come eccessivo potenziale) in un gruppo ristretto, quale fuoco pronto a divampare e a portare distruzione”.
Il Maestro insegna che la reazione spropositata di pochi fanatici può avere esiti perniciosi, mentre il senso di onore e dignità con cui un popolo, una collettività si difendono tenacemente, nella giusta ed equa misura, è necessaria e spesso indispensabile.
I valori d’Israele vengono da lontano, dalle nostre fonti e dai nostri Maestri e sono certamente molto più rigorosi e coerenti di tanti che, da varie parti del mondo, vorrebbero sentenziarci lezioni di morale.

Giuseppe Momigliano, rabbino

(11 gennaio 2017)