Società – Zygmunt Bauman e i veleni dei social

baumanIl suo insegnamento è enorme, l’eredità che ha lasciato al mondo, e al mondo ebraico in particolare, inestimabile. Ma il capitolo del testamento del grande filosofo e sociologo Zygmunt Bauman (1925- 2017) che forse più corrisponde ai giorni nostri, quello che consideriamo dovrebbe essere patrimonio di tutti i giornalisti ebrei, è la sua messa in guardia nei confronti dei veleni dei social network. Scettico nei confronti delle nuove modalità espressive praticate da quelli che sono stati chiamati gli “attivisti in poltrona”, la gente che dal comodo di casa propria, spesso sfuggendo a ogni assunzione di responsabilità, non risparmia maldicenze, calunnie e invettive sconclusionate, inventa notizie infondate, diffonde il sospetto e la sfiducia, il vittimismo e l’ossessione; Bauman anche in questo caso ha parlato molto chiaro. Da giornalisti, da ebrei, da cittadini, vale la pena di ascoltarlo ancora. “Il problema dell’identità – ha spiegato il grande pensatore polacco – è oggi percepito in una maniera nuova. Dall’ipotesi di essere qualcuno che è nato con un compito da realizzare a quella di creare una tua propria comunità. Ma le comunità non lasciano creare a tavolino, o esistono o non esistono. E i social network possono offrirci solo una artificiosa sostituzione”. “La differenza fra una comunità e un network – prosegue – è che tu puoi appartenere a una comunità, ma un network può appartenere a te. Puoi aggiungere o cancellare amici a piacimento. Ti si lascia credere di poter controllare con chi essere in relazione. E la gente sul momento si sente un pochino meglio, perché l’abbandono e la solitudine sono i grandi timori della nostra civiltà dell’individualismo. Ma è così facile aggiungere ed eliminare i propri amici in questo mondo artificiale che la gente sta disimparando le abilità sociali che sono necessarie per uscire fra la gente, per andare al lavoro, quando davvero è necessario in contatto e confrontarsi con persone in carne ed ossa”. Infine una grande lezione che dovrebbe guidare tutti coloro che si occupano di comunicazione, soprattutto di comunicazione identitaria. “Non è un caso se papa Bergoglio, che è un grande uomo di comunicazione, ha scelto di concedere la sua prima intervista a un giornalista che si proclama ateo. È il segno che ci lascia capire come il vero dialogo non può esistere fra persone che si danno ragione a vicenda. I social media non possono insegnarci il dialogo. E per di più sono uno strumento utilizzato la maggior parte delle volte non per unire, non per aprire gli orizzonti, ma al contrario per ritagliarsi un ambiente mentale rassicurante in cui rinchiudersi, dove l’unico suono che ascoltiamo è l’eco della nostra voce, dove l’unica forma che vediamo è il riflesso del nostro volto. I social media possono essere molto utili per dispensare soddisfazioni immediate, ma in realtà sono una trappola”.

gv, Pagine Ebraiche, febbraio 2017

UN GIGANTE DEL PENSIERO CONTEMPORANEO

Nato nel 1925 in una famiglia ebraica nella parte di lingua tedesca della Polonia, scampato alla guerra nell’URSS, nel ‘68 Bauman fu costretto dalla repressione del regime polacco a lasciare il Paese. Andò ad insegnare prima in Israele alla Tel Aviv University e poi all’Università di Leeds, dove ha mantenuto la cattedra per diversi decenni. La scomparsa di Bauman, mancato all’inizio di quest’anno, lascia un vuoto profondo, difficile da colmare. Una posizione condivisa dagli opinionisti del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche. “Non abbiamo potuto che iniziare con un suo ricordo. Perché, tra le molte menti illustri che abbiamo perso nei lager, ha rischiato di esserci anche lui” afferma Gadi Luzzatto Voghera, direttore della Fondazione Cdec, che poche ore dopo la scomparsa di Bauman ha condotto un atteso dialogo con il direttore del Museo di Auschwitz Piotr Cywinski al Memoriale della Shoah di Milano. “Ho iniziato a riflettere sulla Shoah proprio grazie a un suo testo, Modernità e Olocausto. Un testo decisivo per la mia formazione, che mi ha permesso di comprendere queste vicenda non più soltanto in termini storici, ma anche in una prospettiva sociologica. Ci ha davvero aperto gli occhi, Bauman, aiutandoci a capire come la macchina dello sterminio sia parte della modernità”. “L’eredità più significativa che ci arriva da Bauman è la percezione del mutamento come dato strutturale delle società passate, presenti e future” riflette Claudio Vercelli. Ma anche, aggiunge lo storico, la sua capacità di mettere in tensione un parere progressista come quello che ha sempre testimoniato con regimi “a parole progressisti, ma in realtà totalitari”. Una figura quindi rilevante da un punto di vista intellettuale, ma anche civile. Una figura che, spiega Vercelli, è importante anche per il tema della complessità del mutamento, delle tante identità “che possono convivere in un individuo”. Afferma invece Anna Foa: “Con Bauman scompare un personaggio grandissimo, che sarebbe limitativo associare esclusivamente alle sue teorie sulla società liquida. È stato infatti un gigante sotto vari punti di vista, a partire da quello etico. Ma anche da un punto di vista storico ha prodotto studi molto significativi sulla Shoah e la sfida della Memoria”. Per la professoressa, Bauman fa parte di una categoria di protagonisti del nostro tempo difficilmente riproducibili, “anche per la loro capacità di cambiare il mondo e incidere sulla vita di così tante persone”. “Bisogna essere eclettici e curiosi del mondo. E inoltre non bisogna fissarsi su un metodo sociologico, su una disciplina specifica”. Questo per Wlodek Goldkorn, che molte volte l’ha intervistato, uno degli insegnamenti più importanti che ci arrivano dalla vita, dalle opere e dalla testimonianza di Bauman.