Società – Un team di undici cacciatori (per 2.500 bufale)

Oltre 2.500 bufale smascherate in sedici mesi di lavoro. Ma è solo una goccia nel mare della guerra di disinformazione scatenata dalla Russia contro gli Stati Uniti e l’Europa. Faticano non poco gli undici esperti della East StratCom, task force della Commissione europea, creata nel 2015 per contrastare la propaganda di Mosca. Difficile infatti vedersela con articoli che parlano di «scaffali vuoti nei supermercati di Norvegia e Danimarca», «politici gay europei che complottano per costringere i bambini a cambiare sesso» o «pupazzi di neve messi al bando perché razzisti». Le fake news, le notizie false sono fabbricate in modo da attirare l’attenzione degli utenti che le condividono sui social. In ballo però c’è molto di più. La cyberwar di Mosca ha un chiaro obiettivo: disinformare per influenzare il risultato delle elezioni (lo ha imparato a sue spese Hillary Clinton) e destabilizzare i governi. Ecco perché il Cremlino, secondo un rapporto della stessa East StratCom, ha investito più di un miliardo di euro per sostenere piattaforme come Russia Today o Sputnik (quest’ultimo tradotto in 33 lingue). Solo su media del genere è possibile leggere che Emmanuel Macron, candidato alle presidenziali francesi, viene definito un «agente della Cia» o la cancelliera Merkel anche lei in corsa per le elezioni, è «alleata dell’Isis». I myth busters (i cacciatori di bufale) di Bruxelles non stanno a guardare. Organizzati in team che lavorano a distanza da diversi Paesi, ogni settimana diffondono un rapporto con l’elenco delle bufale. Ad aiutare questa task force «finanziata nell’ambito del budget per la comunicazione strategica dell’Ue», un network di 400 giornalisti, esperti di Russia, docenti, diverse Ong di 3o Paesi diversi (assente l’Italia). «Ci avvaliamo di persone madre lingua», racconta al Corriere Jakub Janda, cacciatore di bufale che lavora da Praga sui contenuti in lingua slovena. Trovata la fake news, si fa «debunking, si studia come sia orientando il dibattito». Dopo di che il team può fare ben poco. I debunker non hanno compito di fare contro propaganda né tantomeno possono far rimuovere le pagine dai portali o dai social network. «Preferiamo piuttosto diffondere una cultura diversa dell’informazione e difendere i valori europei», continua Janda. Semplice esercizio di stile dunque? Secondo Christian Stocker, docente di comunicazione digitale all’Università di Amburgo ed ex giornalista di Der Spiegel meglio sarebbe «seguire i soldi delle fabbriche di troll, per farli smettere». In Francia e in Germania i governi hanno incoraggiato o preteso accordi tra i colossi del tech e i media più importanti per arginare le bufale. E lo stesso Zuckerberg sembra aver deciso di combatter le fake news cambiando i suoi algoritmi. Ma il fronte della cyberwar con Mosca è tutt’altro che chiuso.

Marta Serafini, Corriere della Sera, 22 febbraio 2017