Qui Torino – La musica dell’identità ebraica

20170223_213247Che rapporti ci sono tra musica e religione? Quanto un retroterra come quello ebraico condiziona o in qualche modo orienta scelte di vita che poi inevitabilmente hanno ricadute sull’estetica stessa della composizione musicale? Queste e molte altre domande si trovano alla base del nuovo volume del musicologo Enrico Fubini, domande che nell’opera cercano e in parte trovano le loro risposte. Musicisti ebrei nel mondo cristiano. La ricerca di una difficile identità (Giuntina, Firenze 2016), affronta la questione da un punto di vista storico, analizzando i contesti e le vicende di singoli personaggi, ricostruendo così la storia del popolo ebraico attraverso la musica.
“Attraverso questa ricerca la musica si rivela ancora una volta come una delle spie, forse insostituibile, per esplorare le vicende storiche e le avventure spirituali del popolo ebraico in questi ultimi secoli”, ha commentato David Sorani, consigliere della Comunità Ebraica di Torino e moderatore della serata. Con l’Autore sono intervenuti Paolo Gallarati, musicologo e docente presso l’Università di Torino e Gilberto Bosco, musicista e compositore.
Paolo Gallarati interviene analizzando in prima battuta il titolo dell’opera: “È proprio il titolo a rivelare l’impostazione del volume, tutto ruota attorno alla problematica tensione tra assimilazione da un lato e necessità di mantenere la propria identità dall’altro”. Poi si sofferma sull’impostazione storica del libro: si parte dal Cinquecento, epoca in cui i contatti tra ebrei e cristiani si fanno via via più più intensi e dove la spinta verso la Modernità suscita in molti ebrei una volontà di assimilazione. Un esempio di tale spinta lo si ritrova nella presenza in sinagoga della polifonia, che richiama la musica sacra del mondo cristiano. Questo esempio va inteso come tentativo di integrazione. Bisognerà poi aspettare l’Ottocento, il secolo dell’Emancipazione, per ritrovare questa spinta verso l’esterno. Molti infatti sono i compositori di quest’epoca ad aver abbandonato la propria fede ebraica per quella cristiana, alcuni sono rimasti degli ibridi, altri ancora non si sono convertiti. “ Quello che emerge”, continua Gallarati, “è un’ immagine dell’ebraismo come “pietra d inciampo”, un pungolo continuo che spinge alla riflessione verso la dimensione non solo estetica e filosofica, ma anche sociale e politica del mondo occidentale”. Ancora un capitolo sui musicisti del Novecento, a cui segue l’ultimo, “I musicisti ebrei e la Shoah”. È poi Gilberto Bosco a proseguire con l’analisi del volume: “L’opera si sviluppa su due livelli: quello storico e quello relazionale che indaga come gli ebrei si pongono nei confronti del mondo”. Questo secondo livello permette di cogliere non solo il punto di vista degli ebrei che tendono all’assimilazione, ma anche un punto di vista più esterno, cioè di coloro che appartengono al mondo attorno agli ebrei che si convertirono”. “La conversione e l’assimilazione se a inizio Ottocento possono essere interpretate come ricerca del benificio di identità, con la nascita del Sionismo il tentativo di mantenere un’ identità e lo sforzo di non essere emarginati spinge in parte a fuggire e in parte a scegliere”, sostiene Bosco. Ultimo intervento quello dell’autore: “Mi sono chiesto se tutto questo avesse un senso: se la musica è linguaggio universale cosa c’entra la religione? Come coniugare l’aspetto privato con la composizione?”. “In realtà – continua Fubini – la religione non è un incidente biografico ma incide sulla sostanza musicale, dove il vissuto del musicista si rivela, anche nelle sue contraddizioni”.

Alice Fubini

(24 febbraio 2017)