Pil, il boom con l’high tech
Investimenti massicci sulla ricerca, una popolazione altamente istruita e un esercito che sforna giovani talenti dell’alta tecnologia. Sono queste le chiavi del successo dell’economia israeliana, che attraversa una nuova stagione di crescita grazie agli investimenti nella Silicon Valley mediorientale e le innovazioni delle sue «start-up». Secondo i dati pubblicati la settimana scorsa dall’Istituto centrale di statistica, nel quarto trimestre del 2016 il Pil israeliano è cresciuto del 6,2 per cento a un tasso annualizzato. E il miglior risultato nell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che raccoglie i Paesi occidentali più sviluppati. Su base annua, l’economia israeliana è cresciuta del 4 per cento, mentre la disoccupazione è scesa al 4,3 per cento. Il risultato, che ha superato le previsioni degli esperti, è in parte dovuto all’aumento dei consumi interni e alla crescita del settore edilizio, spiega Jonathan Katz, capo economista di Leader Capital Markets, una delle società finanziarie più importanti del Paese. Ma il vero volano è il settore dei servizi hi-tech, afferma Katz. Software per la cybersicurezza, prodotti per l’industria finanziaria, nuove app per i telefonini e tante altre innovazioni hanno contribuito a un aumento delle esportazioni dell’8 per cento. Fondamentali sono anche gli investimenti stranieri, come quello del gigante americano Intel che sta spendendo 6 miliardi di dollari per un impianto di fabbricazione di microchip di ultima generazione nella cittadina di Kiryat Gat, a pochi chilometri dalla Striscia di Gaza. Come accade ormai da un decennio, le «start-up» israeliane continuano a essere il motore del settore hi-tech e nel 2016 hanno attirato fondi per 10 miliardi di dollari, con un’impennata del 200 per cento nell’ultimo trimestre, afferma Katz. L’affare più recente è stato fatto da Apple, che, secondo la stampa israeliana, avrebbe acquistato la società RealFace, sviluppatrice di un software per il riconoscimento facciale che il colosso di Palo Alto potrebbe introdurre in versioni future dell’iPhone. Il primo segreto dell’innovazione tecnologica israeliana è l’investimento nella ricerca e nello sviluppo. Tra fondi statali e privati, lo Stato ebraico spende il 4,3 per cento del Pil in ricerca, più di ogni altro Paese Ocse. L’Italia spende l’1,3 per cento, sotto la media europea del 2 per cento. «Questo tipo di investimento è fondamentale perché previene la fuga dei cervelli, e fa sì che i centri di ricerca di una società continuino a lavorare qui anche quando questa viene venduta a un gruppo straniero», spiega Ari Bronshtein, Ceo di Elron, uno dei più importanti fondi di «venture capital» israeliani. Elron, specializzata nel campo delle apparecchiature mediche, è stata tra le prime società a investire nella Pillcam, una capsula con telecamera e trasmettitore incorporati che può essere ingoiata da un paziente e potrebbe sostituire esami fastidiosi come la colonscopia. E l’istruzione il secondo pilastro del boom economico israeliano, afferma Bronshtein. I principali atenei del Paese finiscono regolarmente tra i migliori duecento nelle classifiche internazionali e, secondo dati Ocse, circa il 46 per cento dei giovani ottiene un titolo universitario (contro il 25 per cento in Italia). Infine c’è il ruolo dell’esercito e della leva obbligatoria – tre anni per gli uomini e due per le donne. Secondo Bronshtein, forze d’élite come l’aeronautica o l’unità 8200, che si occupa di intelligence elettronica, sono delle vere e proprie fucine “di giovani altamente preparati nel campo dell’hi-tech e con anni di esperienza alle spalle”.
Ariel David, La Stampa, 22 febbraio 2017
(26 febbraio 2017)