Società – “Dio e i ragazzi 10 anni dopo”

Mohamed, nel suo schietto romanesco un po’ pasoliniano, confida di i rivolgersi a Dio quando ha un’interrogazione «perché pregando lui ti aiuta sicuramente». Sofia sorride soavemente, bionda e botticelliana nel verde di villa Sciarra a Roma, quando descrive la sua fede: «Dio per me è come un supereroe, un po’ come papà». Alessio parla con naturalezza della morte, la immagina «come una porta che si apre, e comincia un’altra vita». Sono normalissimi adolescenti. Potresti incontrarli in autobus, in una pizzeria, in un parco. Ma ti prendono in contropiede perché non discutono di cellulari o iPad, di amori o di sesso, di chat, di realtà virtuale o di stupefacenti: parlano di Dio, del proprio rapporto con chi è invisibile ma per loro rappresenta una presenza certa. Sono cattolici, ebrei, musulmani, così diversi eppure così identici perché maneggiano lo stesso argomento complesso, profondo, che può persino esporli a possibili conflitti con i loro coetanei. Perché Dio, si sa, ha scarso e faticoso spazio tra i Millennials, così immersi nell’immediato presente e nella sua materialistica concretezza. Gualtiero Peirce, giornalista, scrittore e regista girò nel 2007 il documentario Primo giorno di Dio, andato in onda su Raia la sera di Pasqua del 2008. Peirce seguì un gruppo di bambini nel primo giorno di scuola dell’anno cristiano 2007 alla scuola cattolica «Antonio Rosmini», dell’anno israelitico 5767 all’istituto ebraico «Vittorio Polacco» e dell’anno islamico 1527 nella scuola integrativa della moschea «El Fath». Già allora fu un caso: la ricerca di Dio in un mondo in cui la religione, nel mondo degli adulti, quasi sempre è sinonimo di divisione e guerra. I bambini spiegarono con i fatti cosa siano tolleranza, fede, comprensione dell’altro, nel segno della disponibilità e soprattutto di una palpabile eguaglianza nella ovvia diversità. Dieci anni dopo Peirce è andato alla ricerca di quei ragazzi per capire chi fossero diventati, quali valori animassero le loro esistenze. Così è nato il documentario-sequel Almeno credo, un progetto di Beppe Attene e dello stesso Peirce che lo ha scritto in collaborazione con Andrea Cedrola, e che andrà in onda giovedì 9 marzo alle 21.05 su TV2000. Per il direttore della rete, Paolo Ruffin, il progetto rappresenta «un piccolo contributo alla costruzione di un mondo migliore, dove nessuno possa più dire e credere che si uccida nel nome di Dio, dove la religione non sia mai strumento di odio, dove la fede non abbia mai paura del dialogo». Ed è proprio questo che colpisce nel documentario di Peirce: l’assoluta naturalezza e spontaneità con cui questi ex bambini, ora «adolescenti qualsiasi», parlano della trascendenza e del mistero. Assicura l’autore: «Tutti i nostri intervistati hanno conservato un grande spazio interiore spirituale dieci anni dopo. Ma io non ho operato alcuno scouting, non ho inseguito un’idea precisa né risposte programmate. I ragazzi si sono mostrati come sono, con i loro valori e con questo “credere” che rappresenta sicuramente una forza capace di accomunarli». Il film è ricco di storie, di incroci, di paralleli e di similitudin, di ovvie diversità, le sorelle Tasnlm e Mariam, figlie dell’Imam della Magliana, indossano con orgoglio e leggerezza il velo, vorrebbero tanto spiegare il perché della loro scelta a chi spesso le riempie di domande improvvise e di battute infelici, anche per strada, ma non sempre riescono a rispondere a tono. Dopo, ecco Moris e Alessio, all’esterno del Museo ebraico sotto la Sinagoga Maggiore, che parlano del loro legame ancestrale con Israele ma si dicono sicuri che «la religione islamica vieta di uccidere inutilmente». E poi c’è la straordinaria vicenda di Safa e di David, che dieci anni fa studiavano una nella moschea e l’altro nella scuola ebraica, e oggi frequentano lo stesso liceo aeronautico dove dividono il sogno dei sogni di qualsiasi adolescente: imparare a volare. Sembra una trovata da fiction, invece è la pura realtà. Peirce racconta di aver trovato il titolo alla fine del lavoro: «In tempi così antagonisti, nichilisti, apocalittici, lo slogan “Almeno credo” è arrivato dalla preziosa energia di questi ragazzi che hanno impartito a noi adulti una indimenticabile lezione sull’importanza di saper ascoltare chi ci sta accanto».

Paolo Conti, Corriere della Sera, 2 marzo 2017