SOCIETA’ – Diseguaglianze e dignità dell’individuo. Le lezioni del Talmud
Le ineguaglianze economiche sono forse la sfida economica più colossale che la società del XXI secolo si trova ad affrontare. Se la ricchezza complessiva negli ultimi decenni è cresciuta a ritmi senza precedenti nella storia dell’umanità, così in parallelo si sono allargati i divari tra chi corre avanti, accumulando fortune sempre più colossali, e chi rimane indietro, non solo o necessariamente in povertà assoluta, ma anche rispetto allo stile di vita a cui aspirerebbe. A riflettere sui problemi legati delle diseguaglianze sociali erano però già oltre 1500 anni fa i Maestri del Talmud. In diversi trattati dell’opera fondamentale del pensiero e delle regole di vita ebraiche, a partire da quello di Bava Metzia, vengono discusse regole e limiti per tutelare gli strati più deboli nella società.
“L’idea è che al potere della ricchezza vadano posti dei confini, che i ricchi abbiano dei doveri nei confronti dei poveri, è profondamente radicata nell’ebraismo” scrive sul Tablet Adam Kirsch, che da anni tiene una rubrica settimanale dedicata agli insegnamenti del Talmud come studiato secondo il ciclo del Daf Yomì (per cui se ne approfondisce una pagina al giorno fino a terminare l’intero testo).
Uno dei concetti chiave è quello secondo cui chi è facoltoso non ha il diritto di dire a chi ha mezzi limitati che deve accontentarsi del minimo indispensabile, perché ciascun essere umano merita la stessa dignità. “Non c’è nulla che vada considerato troppo per il povero, perché tutta Israele è figlia di re” sottolinea per esempio il maestro Abaye. Un’affermazione che ha implicazioni importanti perché tra le regole chiave dei rapporti fra creditori e debitori è quella che il creditore non ha diritto di privare il debitore di ciò che gli serve per vivere: se gli porta via l’aratro per un debito non pagato, dovrà restituirglielo ogni giorno e riprenderlo la sera per consentirgli di lavorare, se gli porta via coperte e cuscini dovrà riportarli indietro ogni notte per permettergli di dormire. I rabbini discutono fino a che punto questa regola vada applicata, anche in ottica di tutela del creditore. Ma Rabbi Akiva non aveva dubbi: se il debitore possiede un mantello di gran lusso da 10mila denari, e un debito da 1000, colui che gli ha prestato i soldi non potrà pretendere di venderlo e restituirgli il resto sulla base del fatto che il mantello è al di sopra delle sue esigenze.
Un altro principio che si ritrova nel Talmud è quello del rispetto del lavoro: è proibito al datore di lavoro ritardare il pagamento del compenso al lavoratore. “Chiunque trattenga la paga dei propri dipendenti viola cinque proibizioni e un mitzvah positiva” spiegano i Saggi. La finestra temporale concessa è limitata: il denaro va versato entro la sera stessa della prestazione. La logica risiede nel fatto di assicurare ai lavoratori la possibilità di comprare il necessario per la giornata, ma vengono concesse delle eccezioni, per esempio ai mercanti che possono pagare dopo il giorno di mercato, perché è in quel momento che essi stessi ricevono il compenso dei loro commerci. L’essenziale è insomma che il datore di lavoro paghi alle scadenze prefissate e queste scadenze consentano al lavoratore di sostenere le proprie spese.
Responsabilità verso il prossimo e verso la collettività, dignità dell’individuo a prescindere dalla condizione sociale, rispetto del lavoro: lezioni senza tempo, che troppo spesso le società del terzo millennio non hanno ancora acquisito. O talvolta, addirittura dimenticato.
Rossella Tercatin