riparare…
“Qualora una persona pecchi e commetta un sacrilegio verso il Signore” (Vaikrà, Levitico5,20). Con queste parole la Torah presenta quali colpe di carattere religioso, compiute anche in spregio della sovranità di D.O, una serie di comportamenti disonesti di varia natura, commessi attraverso furti o appropriazioni indebite, come aver trattenuto denaro o altri beni ricevuti in deposito o in prestito o aver negato di esserne custodi, aver mancato di pagare la giusta retribuzione pattuita ad un salariato, aver preso possesso di oggetti rinvenuti senza curarsi di restituirli al legittimo proprietario. In conseguenza di questi reati la Torah prevede, per la persona che si penta, una serie di azioni finalizzate a una riparazione dei vari ambiti relazionali colpiti da questi comportamenti negativi: il soggetto deve ritrovare sincerità e armonia nel rapporto più intimo con se stesso, riconoscendo pienamente la propria colpa e confessandola integralmente a D.O; deve riappacificarsi con la vittima, risarcendola del danno con un’aggiunta del quinto rispetto all’entità del dolo; infine, e solo dopo aver adempiuto agli altri gesti, può presentare a D.O un’offerta di espiazione. La parte più impegnativa, ma anche quella decisiva per un autentico pentimento, è la restituzione del maltolto, che deve essere consegnato direttamente alla parte lesa, senza possibilità del ricorso ad intermediari. Il contatto diretto tra il colpevole e la vittima è necessario per rendere pienamente consapevole il primo delle proprie responsabilità e al tempo stesso per avviare ad una possibile riconciliazione. Con questa procedura la Torah ci prospetta un sistema di approccio a questi tipi di reati che non ha semplicemente un carattere punitivo ma tende al recupero più profondo della personalità del colpevole, dei suoi valori morali e religiosi e delle sue relazioni sociali.
Giuseppe Momigliano, rabbino
(29 marzo 2017)