Autorità centrale
Sono cresciuta con l’idea che l’assenza di un’autorità religiosa centrale per noi ebrei fosse indiscutibilmente un bene, il segno di una cultura per cui libertà di pensiero e pluralismo sono valori irrinunciabili. Con la stessa logica tendevo a osservare le altre realtà religiose. Oggi non ne sono più tanto convinta. È stato davvero un bene per il mondo protestante frazionarsi fin dal XVI secolo in una miriade di realtà spesso in lotta anche violenta l’una contro l’altra? È un bene oggi per il mondo islamico non avere un’autorità religiosa centrale che possa condannare con fermezza le azioni dei pochi che si autoproclamano portavoce della collettività? È una male per i cattolici avere un papa che invece può pronunciare a nome di tutti una ferma condanna dei fondamentalismi e un’appassionata difesa del rispetto per le diversità?
Queste riflessioni nascono da una conversazione casuale con gli allievi ma si adattano perfettamente a questi giorni di caccia affannosa ai prodotti kasher le-Pesach; tutti ricorderanno, infatti, che alcuni anni fa si era scatenato un gran putiferio in difesa delle tradizionali ciambellette; molti in quell’occasione avevano lamentato non tanto l’impossibilità di produrre i biscotti con le ricette tramandate da generazioni quanto la mancanza di autonomia del rabbinato italiano. Ma se la kasherut globalizzata ha fatto sparire le ciambellette in compenso ha fatto comparire molti altri cibi kasher le-Pesach. Saremmo poi così felici se ciascuno di noi dovesse considerare kasher solo i prodotti certificati dal proprio rabbino comunitario? E saremmo così infelici se ci fossero un Rabbino Capo mondiale e un unico marchio di kasherut accettato da tutti gli ebrei del mondo? Il problema non sarebbe quindi l’esistenza di un’autorità religiosa centrale ma le modalità con cui dovrebbe essere selezionata e, naturalmente, la possibilità di esprimersi che dovrebbe essere riservata alle opinioni minoritarie. Ma l’immagine di tutti gli ebrei dei cinque continenti che litigano felicemente tutti insieme per decidere chi dovrà essere il Rabbino Capo mondiale – e non appena lo hanno designato iniziano subito a litigare per decidere se confermarlo o cambiarlo – mi sembra bellissima: per quanto aspri possano essere i litigi (e non c’è dubbio che lo sarebbero), significherebbe comunque che tutti gli ebrei del mondo si parlano e si riconoscono reciprocamente come appartenenti a un’unica comunità. Non sarebbe una cosa da poco.
Anna Segre
(31 marzo 2017)