Libertà
Anche quest’anno ci avviciniamo alla festa mondiale della speleologia.
In ogni angolo della Terra, ogni casa di speleologo ferve di preparativi. Dagli scaffali vengono presi libri, fotocopie, manuali e dispense (primo tra tutti Tecniche di grotta di Giovanni Badino, testo amorevolmente conosciuto come ‘il Badino”) per ripassare le regole di armo, progressione e discesa. Ogni famiglia cerca La Spéléologie, ou science des cavernes di Édouard-Alfred Martel, una copia per ogni abitante della casa, per leggerlo tutti insieme le due sere della festa. Si lucidano i discensori e si prepara l’acetilene per il casco, si controllano il materiale da armo, imbracature e maglie rapide, e si cercano teli termici e pile per le lampade a led dei più piccoli.
Anche loro si predispongono con orgoglio, sfogliando La speleologia per grandi e piccini, cercando i loro zainetti e ripassando le parti che devono leggere in un’altra lingua. Sarà proprio il più piccolo della casa ad avviare la cena, intonando il canto di domanda sulle peculiarità della festa che fornisce l’occasione per ripercorrerne i passi.
L’aspetto che più colpisce è come questo si ripeta anno per anno, con poche varianti, da secoli in ogni parte del mondo, ove si riuniscono attorno allo stesso desco tipi diversissimi di bambini speleologi, tutti accomunati dall’appartenenza a questa realtà. C’è dunque quello attento a conoscere le regole, c’è quello disinteressato che sembra essere presente quasi per caso e tiene provocatoriamente a sottolineare il suo scarso coinvolgimento, c’è quello curioso che vuole sapere, c’è quello in disparte che va coinvolto perché poco partecipe. Un po’ come i quattro tipi di persone ricordate in un’altra festa, le quali possono essere sia sagge sia generose, l’una o l’altra cosa, o nessuna.
Secondo alcuni, come ci ricorda Jonathan Safran Foer nella curatela della New American Haggadah che vede la partecipazione di Nathan Englander, a questi quattro ragazzi corrispondono quattro diversi tipi di genitori, da quello noioso e leggermente saccente che rammenta al figlio una presunta sapienza dettata dalla maggiore età ed esperienza, a quello malvagio la cui pericolosità consta nello sbandierare la propria indifferenza per gli altri. Il genitore semplice, invece, non riesce ad educare i propri figli se non con frasi fatte che hanno scarsa presa, ed infine il genitore poco partecipe ha probabilmente bevuto troppo e non meriterebbe neppure di partecipare (Jonathan Safran Foer, ed., New American Haggadah, Little Brown and Company 2012, pp. 30-31) – soluzione un po’ drastica quest’ultima, chi può dire che non possa riprendersi e partecipare anch’egli, e magari insegnare qualcosa al figlio, o dal figlio imparare?
Negli ultimi decenni si è presentato un nuovo tipo speleologo, il quale non prende mai parte a nessuna attività, non sente più alcuna appartenenza, o per i percorsi della sua vita viene tenuto ai margini dagli altri, ma trova la sua occasione di identificazione durante questa festa, in cui c’è, o ci dovrebbe essere, posto anche per lui.
Ci sono poi gli innovatori, i quali credono nello spirito della festa ma anche nella sua attualizzazione, ad esempio mettendo in tavola cibi non tradizionali come le arance – a simboleggiare, secondo alcuni, l’inclusione delle donne, per altri invece l’accoglienza di chi è spesso escluso come la comunità GLBT – o sostituendo il tradizionale zampetto di agnello arrostito con un oggetto, in nome del rispetto per gli animali.
Ad innovare questa tendenza, estremizzandola, sono intervenute negli ultimi anni nuove figure, che contestano, in nome di un ambientalismo militante, la cura posta nella preparazione della festa di fronte ai mali nel mondo, giungendo in alcuni casi all’auto denuncia e all’abiura dei canti finali della festa, abdicando così alla propria identità – come se gli speleologi, in quanto tali, fossero tutti egualmente responsabili delle disattenzioni e degli incidenti in grotta, o del vandalismo di chi lascia graffiti di nerofumo che deturpano gli ambienti ipogei per i millenni a venire.
Ci accingiamo dunque a festeggiare chiedendoci quali siano i limiti, se ve ne sono, della libertà. E dove stia il delicato equilibrio tra il rispetto di sé e quello per gli altri.
Sara Valentina Di Palma
(6 aprile 2017)