SPECIALE PESACH I nostri figli crescono con le domande
Il tema dei figli, della trasmissione dei valori e della varietà degli approcci alla questione è centrale in Pesach e trova espressione chiara nella Haggadah. Propongo qualche sintetica riflessione sull’argomento. La Torah prevede in quattro punti diversi l’obbligo di spiegare al proprio figlio l’uscita dall’Egitto; tre di questi espongono anche la possibile domanda del figlio stesso mentre un quarto si limita alla semplice prescrizione. Sulla base di questi passi il midrash identifica quattro tipi di figli: sapiente, malvagio, semplice e che non sa fare domande, i quattro figli che compaiono nella Haggadah. Nel testo di quest’ultima, i brani che riportano il dialogo tra il padre e i quattro figli sono preceduti da un’evidente formula di benedizione: “Benedetto l’Onnipresente, Benedetto Egli sia; Benedetto Colui che ha dato la Torah al Suo popolo Israele, Benedetto Egli sia”. Questa formula sembra fuori contesto: non è chiaro infatti quale sia l’oggetto della benedizione né perché si debba recitare. La berachà relativa allo studio, che potrebbe rappresentare una soluzione alla questione, è inserita nella tefillah della mattina e non va ripetuta, a differenza delle altre berachot, ogni volta che ci si riaccinge a studiare. La formula si riferisce evidentemente al contenuto successivamente enunciato: i quattro figli di cui parla la Torah. Le quattro benedizioni sono dunque il ringraziamento per la discendenza, anche per quella che può presentare dei lati negativi, come il cosiddetto malvagio che, spesso lo dimentichiamo, è comunque presente al Seder. In questa prospettiva le due espressioni brevi – “Benedetto Egli sia” – si collegherebbero al figlio malvagio e a colui che non sa fare domande, le cui caratteristiche non possono essere oggetto di una benedizione particolare, mentre le due più lunghe si riferirebbero agli altri due figli. “Benedetto l’Onnipresente” al semplice, che percepisce la presenza di Dio ovunque, e “Benedetto Colui che ha dato la Torah” al saggio, che fonda la sua identità sullo studio della Torah. I quattro figli, quale che sia la loro identità, generano la necessità di benedire Dio perché rappresentano la sconfitta del progetto del Faraone, che voleva l’annientamento dei bambini. Con i differenti tipi di figli si afferma invece che le generazioni sono proseguite nella loro varietà di posizioni, varietà alla quale il genitore si deve adeguare nel rispondere: non esiste un metodo universale di trasmissione dei valori. I quattro figli possono allora rappresentare quattro diverse modalità di comprensione dell’evento che si sta celebrando con il Seder. Il sapiente si chiede quale sia lo scopo di Dio nell’istituire Pesach. Il semplice desidera sapere cosa sia accaduto. Il malvagio domanda quale utile egli possa ricavare dall’evento. Colui che non sa fare domande, infine, resta in silenzio perché non vede ancora la caduta finale delle forze del male. Secondo questa lettura, alle quattro posizioni corrispondono i quattro bicchieri di vino che si bevono durante il Seder stesso: Kiddush, che suggerisce il progetto divino nel mondo; Magghid, che narra la storia dell’uscita dall’Egitto; Birkat hamazon, che indica il significato dell’esistenza umana rivolgendola all’osservanza delle mitzvot e infine Hallel, con il chiaro riferimento alla redenzione finale. Le quattro figure possono essere viste anche in relazione al loro rapporto con quella chiave d’accesso all’ebraismo che è lo studio della Torah e, più in generale, con gli strumenti dell’apprendimento. Il saggio vuole aumentare la sua sapienza ponendo domande su elementi che ancora non conosce, è dunque in una dimensione di continuo incremento di sapere. Il semplice si limita alle domande solo quando è stimolato da una differenza rispetto all’abitudine: in questo senso la sua sapienza aumenta quando è stimolato ma diminuisce in assenza di cambiamenti. Colui che non sa fare domande resta indifferente anche di fronte a ciò che è esplicitamente diverso, diminuendo così continuamente il suo livello di sapienza. Il malvagio, infine, rappresenta l’opposto del saggio: egli sembra finalizzare le sue domande alla provocazione, risultando una sorta di sapiente al contrario. La caratteristica formale dei brani relativi ai quattro figli è la struttura domanda – risposta, presente nella Haggadah già all’inizio con Ma nishtanà. Questa struttura è fondamentale nel Seder: è obbligo dare inizio alla narrazione con una domanda, che motiva l’insieme del racconto. E’ noto che è uso far recitare Ma nishtanà al bambino più piccolo. Se è troppo giovane per capirne il senso o per comprendere la risposta le domande devono essere poste da un ragazzo più grande. Se non ci sono giovani, le domande devono comunque essere poste da un adulto. Se infine colui che dirige il Seder è solo, dovrà rivolgere la domanda a se stesso. Senza domanda non vi è dunque Haggadah: è la domanda che dà senso e che rappresenta la dinamica aperta dell’educazione e del processo di identificazione.
Benedetto Carucci Viterbi, rabbino
Pagine Ebraiche, aprile 2010