Groppo in gola
La Seconda Guerra Mondiale arrivò al termine di un decennio (1930–1940) durante il quale sia l’industria fonografica italiana che cinematografica statunitense lanciarono capolavori musicali e film che resteranno nella storia della canzone e del cinema di tutti i tempi.
Nel 1937 il disegnatore e produttore cinematografico statunitense Walt Disney (1901–1966) pubblicò il lungometraggio d’animazione Snow White and the Seven Swarfs (Biancaneve e i 7 nani) diretto da David Hand su musiche di Frank Churchill, Leigh Harline e Paul J. Smith; il successo fu planetario e la fenomenologia deportatoria che pochi anni dopo si sarebbe drammaticamente sviluppata a causa della Guerra non sarebbe restata immune da successi cinematografici e incantesimi musicali che scaturivano dal nuovo mondo del cartoon disneyano.
Pinocchio e Fantasia arrivarono nelle sale nel 1940 cioè a Guerra iniziata, pertanto il mondo artistico–musicale dei Campi non ne trasse alcun beneficio; dal 1941 sino a tutto il 1944 l’onda lunga di Biancaneve tracimata nei Lager fu necessariamente circoscritta alla versione animata (e relative musiche di scena) della celebre favola dei Fratelli Grimm.
Le più accattivanti melodie del cartoon disneyano furono rielaborate, arrangiate e parodiate a Theresienstadt, presso il Campo familiare di Auschwitz–Birkenau (con accompagnamento di fisarmonica), presso il Campo di internamento di Les Milles (Max Schlesinger scrisse l’inno del Campo su una melodia del cartoon), presso il Campo sudafricano per prigionieri di guerra di Zonderwater (ivi gli italiani costituirono persino l’orchestra Biancaneve) mentre presso lo Stalag XA Sandbostel l’internato militare italiano – nonché noto giornalista e scrittore – Giovannino Guareschi citava ironicamente il capolavoro disneyano ne La Favola di Natale creata insieme al compositore Arturo Coppola (la citazione scomparve nel testo definitivo pubblicato dopo la Guerra dalla Rizzoli).
Medesima fama godette la celebre Katjuša scritta nel 1938 dal compositore sovietico Matvei Blanter (1903–1990) su testo di Michail Isakovskij e mutuata non soltanto dalla partigianeria ma altresì dai deportati tedeschi, polacchi e italiani da Dachau e Sachsenhausen sino ai Campi ucraini (a Buchenwald fu messa in stesura strumentale dal violinista e compositore polacco Józef Kropiński).
Tuttavia furono le canzoni del compositore italiano Cesare Andrea Bixio (1896–1978) a entrare nell’immaginario musicale di migliaia e migliaia di deportati e trasformare idealmente i Lager nel più impensabile palcoscenico della canzone italiana sotto il segno dell’autore di Mamma son tanto felice.
Presso il carcere S. Vittore di Milano Laura Conti arrangiò per voci femminili La canzone dell’ex gerarca su Son come tu mi vuoi di Bixio; a Fossoli Ubaldo Brioschi creò Vendici una mela Noè su Parlami d’amore Mariù dello stesso autore (mele e castagne erano prelibatezze ricercate nei Campi).
A Mittelbau–Dora, dopo la preghiera serale, il deportato italiano Calogero Sparacino intonava Mamma son tanto felice accompagnato dall’intero Block mentre ad Auschwitz–Birkenau i cantanti ebrei Frida Misul ed Emilio Jani intonavano la medesima canzone sia per i compagni che per le SS; ad Auschwitz I Stammlager la deportata Stanisława Lampart scrisse per voce femminile e chitarra Piosenka dla Mamy, versione in lingua polacca della canzone di Bixio (nei fogli dattilografati del ricercatore polacco Alexander Kulisiewicz il nome dell’autore è riportato “C.A. Dixio”).
File interminabili di militari italiani condotti alla prigionia dai soldati sovietici costituiscono l’immagine emblematica della fallita spedizione italiana dell’Armir; sovietici e italiani fraternizzarono proprio grazie alla celebre canzone di Bixio, intonata a ruota durante le soste da entrambi i gruppi e nelle rispettive lingue (in lingua russa il titolo è Mama niet glaz iarciei miliei).
Scrisse Don Enelio Franzoni, cappellano militare deportato a Vladimir–Sussdal: “Se mi vedete passar per strada e non vi saluto può darsi che mi stia ricantando Mama niet glaz iarciei miliei […] Può darsi che non riesca ad arrivare alla fine; colpa del groppo in gola”.
Potenza della musica cantata in cattività; smaschera la vera natura dell’uomo.
Francesco Lotoro
(17 maggio 2017)