MEMORIA I tedeschi e il Dopoguerra secondo Primo Levi

primo leviMartina Mengoni / PRIMO LEVI E I TEDESCHI / Einaudi

Nel dopoguerra, il rapporto di Primo Levi con i tedeschi fu caratterizzato da una sostanziale lucidità: lo scrittore e testimone non puntò semplicemente il dito accusatore contro gli artefici della barbarie, sentendo invece la profonda esigenza di comprendere, di indagare. Ed elaborando via via il famoso concetto di “zona grigia”, di quell’universo di indifferenza che aveva reso possibile e attuabile la Shoah.
Il saggio “Primo Levi e i tedeschi”, edito da Einaudi nella collana bilingue italiano/inglese Lezioni Primo Levi, curato dalla ricercatrice alla Normale di Pisa Martina Mengoni, indaga proprio questo aspetto della biografia dell’autore di “Se questo è un uomo”.
Fu proprio la pubblicazione in Germania del libro più noto di Levi a creare l’opportunità di una serie di contatti epistolari tra lo scrittore e i suoi lettori tedeschi, lettere importanti al fine di ricostruire uno degli aspetti fondamentali del suo universo intellettuale, e della sua elaborazione anche “filosofica” di quanto aveva drammaticamente vissuto e raccontato.
Il libro contiene materiale edito e inedito, e sono molti i passaggi salienti dei carteggi. La prima lettera che Levi scrisse a “un tedesco”, finora totalmente inedita, risale al marzo del 1967, ed è indirizzata al dottor Meyer, uno dei capi del laboratorio di Monowitz dove egli lavorò (e di cui Levi non conservava un ricordo negativo), con il quale era venuto in contatto tramite una conoscenza comune. La lettera colpisce perché non ha alcun intento accusatorio. Ed esprime una profonda esigenza di indagare, di ricostruire:
“… ritiene che la direzione della I.G. abbia assunto volentieri mano d’opera umana proveniente dai lager? Che abbia ritenuto di rendere così meno incerto l’avvenire dei prigionieri? Che il loro lavoro fosse utile alla I.G. o inutile o addirittura nocivo? Che cosa era noto degli ‘impianti’ di Birkenau?”.
Torna inevitabilmente in mente una delle frasi più note di Levi, “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Per tutta la vita, egli cercò di analizzare come la Shoah fosse potuta accadere. E per trovare una (forse impossibile, certamente deludente) risposta, cercare di comprendere “i tedeschi”, con il suo lucido metodo analitico, era un passaggio fondamentale.

Marco Di Porto