Storie – La mancata insurrezione
Perché Roma non si liberò da sola nel giugno del 1944? Si è molto parlato del ruolo del Vaticano nel consentire un passaggio indolore della capitale d’Italia dai tedeschi agli Alleati. Ma non tutto è stato scritto e indagato su questo argomento. Un libro interessante di Franco Maria Fabrocile, intitolato Il segnale dell’elefante (edizioni Marlin, pp. 274), rivela particolari inediti della storia della mancata insurrezione, dall’osservatorio particolare del Partito d’Azione. Il libro sarà presentato domani, mercoledì 24 maggio, alle ore 18.00, presso il Circolo “Giustizia e Libertà” di Roma.
In risalto la storia, anzi le storie, che hanno dato origine al Partito d’Azione romano, che raccoglieva la rete di Giustizia e libertà, fatta di ex combattenti e Arditi del Popolo, artigiani, ferrovieri, intellettuali, impiegati, ma anche giovani studenti, come il gruppo di quattordicenni-sedicenni del liceo Orazio, i “caimani” , che fra partite di calcio e nuotate nell’Aniene, dopo l’8 settembre 1943 partecipa a Porta S. Paolo alla difesa della capitale.
Tante le figure che attraversano il saggio, dall’ex ardito Domenico Alari a Max Salvadori, al grande organizzatore Cencio Baldazzi, al sardo di ferro Emilio Lussu e a sua moglie Joyce, fino a Carlo Rosselli, Guido Calogero, Ugo La Malfa, Pilo Albertelli, Leo Valiani.
Dopo la decapitazione dei quadri organizzativi azionisti del febbraio-marzo ’44, il partito si riorganizza e prepara un piano militare insurrezionale con 1200 armati. Mentre la base, intenzionata a combattere, trova collaborazione orizzontale con partigiani di colore diverso, i rapporti con gli Alleati e con i badogliani sono la quadratura del cerchio: il segnale radio – “elefante” – convenuto con gli americani per lo scoppio dell’insurrezione si perde in un giallo di rapporti interni al partito, destinati a lasciare dopo il 4 giugno ferite non rimarginabili e verità indicibili, mentre la guerra, inesorabile, continua.
Mario Avagliano
(23 maggio 2017)