Yerushalaim…
Nel giorno che è festa di Yerushalaim ma anche, nuovamente, tempo di dolore e di orrore, una riflessione può scaturire proprio dal nome di questa città, Yerushalaim.
Secondo alcuni midrashim, il nome Yerushalaim è la sintesi voluta dal Signore di due diversi appellativi con i quali – in altrettanti episodi della Torah aventi come protagonista il patriarca Abramo – vengono ricordati la città e il monte ad essa legato dove, secondo la tradizione, sarebbe stato edificato il Santuario. Dei due episodi cui fa riferimento il midrash, uno è molto noto, si tratta della “akedah”, la prova a cui l’Eterno sottopone Abramo, fino al punto in cui il patriarca si dispone ad offrire in sacrificio il figlio Isacco già avvinto sull’altare (da cui il termine ebraico) per essere poi fermato dal richiamo divino (Genesi 22,1-19). L’altro episodio, meno conosciuto, ha come protagonista Malkizedek re di Shalem, che viene incontro ad Abramo allorquando il patriarca è di ritorno dopo aver liberato il nipote Lot e molti altri prigionieri catturati in un episodio di guerre locali (Genesi 14, 1-24).
Il midrash si esprime così: “Disse il Santo, benedetto Egli sia: Abramo l’ha chiamata Ir’eh – vedrà, come è detto: Abramo chiamò il luogo (dove era stato messo alla prova dal Signore) Hashem Ir’eh – D.O vedrà Shem ( il midrash identifica con Shem il re Malkizedek) l’ha chiamata “Shalem”. Se la chiamerò “ Ir’eh”, come scelto da Abramo, si risentirà Shem, il giusto; se la chiamo “Shalem”, come voluto da Shem, si risentirà Abramo, il giusto. La chiamerò Yerushalaim, che comprende il nome dato da entrambi”( Bereshit Rabbà 56,10).
Il nome “Shalem” contiene un evidente richiamo alla parola “Shalom” che indica la pace; l’espressione “Ir’eh”, secondo alcune spiegazioni, può alludere al termine “ir’ah” che indica il sentimento di reverente timore di D.O; in ogni caso la prima parte del nome di Yerushalaim , secondo il midrash si richiama direttamente all’evento della “prova del sacrificio”. La conclusione dell’episodio manifesta che non era mai stata intenzione del Signore che Isacco venisse immolato; secondo un midrash, Abramo aveva interpretato come richiesta del Signore di offrire il figlio in sacrificio un’espressione con la quale in realtà D.O intendeva ordinare al patriarca di condurre Isacco a compiere un’offerta sacrificale: “Disse il Santo, benedetto Egli sia, ad Abramo: quando ti ho detto di prendere Isacco non intendevo dire di immolarlo, solo di farlo salire sul monte” (Bershit Rabbà 56,8). Uno dei significati della prova era proprio portare il patriarca ad essere inconfondibile esempio di un servizio rivolto a D.O con fede pura, con reverente timore e animo riconoscente della sovranità assoluta del Signore ma anche con purezza di opere, in assoluta, radicale inversione rispetto alle pratiche barbare, violente e disumane con le quali allora – e come vediamo non solo in quei tempi – si riteneva di compiere azioni gradite alle divinità anche con il versare cruentemente sangue umano in nome di presunti atti di fede. Il Signore ha voluto che la città a Lui sacra portasse, nel suo nome, attraverso l’esempio del patriarca Abramo, innanzitutto il ricordo di questo inequivocabile ripudio di qualsiasi appannaggio di sacralità a gesto orrendi, che fosse chiaro fin dalle origini che spargere il sangue dei propri o di altrui figli non costituisce atto di fede in D.O ma la più spregevole idolatria, un culto estraneo a qualsiasi valore che abbia a che fare con la venerazione del Signore, D.O Uno.
Il richiamo allo shalom, alla pace nel nome Yerushalaim, pur facendo riferimento a un episodio cronologicamente precedente nel racconto biblico (qual è l’incontro di Abramo con Malkizedec) compare nella seconda parte del nome della città, forse perché la pace è il punto d’arrivo, cui deve portarci l’essenza stessa di questa città, nella sua concretezza reale e nella sua dimensione spirituale; per giungere alla pace vera e completa è prima necessario che il messaggio della prova del sacrificio, affrontata e superata da Abramo, venga compreso e fatto proprio da ogni essere umano che si definisce credente in qualche religione. Quando “Hashem ir’è”, quando “il Signore vedrà” che gli uomini tutti hanno ripudiato questi orrendi servizi a culti barbari, ad idolatrie che sono estranee all’uomo quanto a D.O, allora il nome della città sarà veramente completo, sarà “Yerushalaim” che vedrà la pace, dalle sue vie e piazze e mura uscirà la parola dell’Eterno, che tutti gli uomini, liberamente e spontaneamente, aneleranno di ascoltare e mettere in pratica: “Andranno molti popoli e diranno: – venite che saliremo sul Monte del Signore, alla Casa del D.O di Giacobbe, affinché Egli ci ammaestri sulle Sue vie, affinché procediamo nei Suoi sentieri. Perché da Zion uscirà l’insegnamento e la parola del Signore da Gerusalemme.” (Isaia 2,3).
Giuseppe Momigliano, rabbino
(24 maggio 2017)