…giornalismo

La trasformazione della percezione dello Stato d’Israele nell’immaginario della società italiana e nelle dichiarazioni politiche (a cui seguono precise strategie diplomatiche) è un elemento importante per comprendere la storia degli ultimi decenni e le dinamiche del presente. Riflettere sui cambiamenti avvenuti, proporre letture possibili al di là delle solite scontate scaramucce retoriche che caratterizzano le contrapposte tifoserie dei social network, è il compito che si assumono le redazioni giornalistiche più accorte e naturalmente gli studiosi che si interrogano sull’interpretazioni delle fonti e producono nuove questioni problematiche sulle dinamiche del conflitto mediorientale (per una bibliografia indicativa si veda qui).
Il servizio giornalistico “Sei giorni, la guerra infinita” ideato da Gad Lerner per la Rai è un lavoro che si inquadra in questa prospettiva, in qualche modo pensandola in un presente non concluso. Lo schema è ben leggibile e organizzato in tre sezioni: 1) uno sguardo retrospettivo al clima di quel 1967, quando sembrava che Israele dovesse essere spazzato via dagli agguerriti eserciti degli stati arabi. Giovani protagonisti di allora vengono intervistati a restituire l’atmosfera di allarme in cui si viveva, un grande Arrigo Levi che ricorda l’esperienza della guerra del ’48 e la pone con lucida lettura in collegamento con quella dei Sei giorni che si trovò a raccontare da giornalista Rai. 2) Un esame piuttosto obbiettivo delle conseguenze storico politiche della conquista di territori arabi sia per la storia stessa dello Stato d’Israele, sia per la natura del progetto sionista (con qualche ingenuità, me lo si conceda, quando viene intervistato il generale egiziano Mahmud Metwalli che si produce in una reticente interpretazione storica tutta da discutere). 3) Infine uno sguardo ad ampio raggio sulle conseguenze di quel conflitto che muovono le dinamiche politiche di oggi: l’estremizzazione dello scontro fra palestinesi e israeliani (le varie intifade), la fine della luna di miele politica fra sinistra, ebrei e Israele, le difficili prospettive di convivenza e i riflessi problematici che quel conflitto ha creato nelle relazioni fra Israele e diaspora. Una lettura di parte, come tutti i servizi giornalistici, figlia della storia anche personale del giornalista che l’ha realizzata; ma uno sguardo del tutto onesto e completamente privo di reticenze, a cominciare dal ricordo personale un po’ stupito di un Lerner bambino in visita ai territori conquistati seduto a cavalcioni sul cannone che Nasser avrebbe dovuto usare per distruggere Israele. La voce narrante scelta per accompagnare a tratti l’intero servizio è quella di David Grossman, un ebreo di Gerusalemme che ha vissuto sulla sua pelle tutta questa lunga storia e ha pagato un tributo familiare terribile. Il suo sguardo, il racconto che lui fa da scrittore e narratore, capace di introspezioni e di limpidezza intellettuale, ci conduce per mano da spettatori lungo una storia che ancora ci riguarda: dalla paura di essere “buttati a mare” (il piccolo David che vuole imparare a nuotare perché prende del tutto sul serio le minacce di Nasser), alla presa di coscienza che non ci si trova solo di fronte a una vicenda bellica e politica, ma anche a una questione umana, nella quale gli altri, i palestinesi, esistono e hanno un ruolo. Un conflitto che si potrà risolvere non con il boicottaggio (nettissime le sue parole di condanna al riguardo), ma con uno sforzo di dialogo fra nemici che non possono che vivere in futuro l’uno accanto all’altro in una prospettiva di convivenza. In definitiva un servizio giornalistico informativo e problematico, che lascia aperte questioni, fornisce poche risposte (come ogni buon servizio giornalistico non ideologico) e spinge chi non sa ed è curioso ad informarsi meglio. Chi ne ha voglia, ora, potrà recarsi a studiare le fonti con sguardo critico, cercando di utilizzare la storia di questi 50 anni come piattaforma per costruire il futuro (si spera di pace) e non come palestra per prendere a pugni i fantasmi del presente.

Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC

(2 giugno 2017)