Società – Come si salva la solidarietà

La parola “Solidarietà” può ancora essere pronunciata e poi messa in atto o, come temeva Stefano Rodotà nel suo ultimo libro — che ci è sembrato necessario ristampare e troverete in edicola domani — è destinata ad essere proscritta e condannata? È ancora possibile parlare di inclusione, accoglienza e integrazione senza essere tacitati e spazzati via dal disagio e dalle paure dei cittadini e da chi cavalca questi sentimenti? Una strada esiste, ma è un passaggio stretto, necessario, anzi indispensabile per non tradire la nostra tradizione civile e insieme la nostra tenuta democratica. Questa strada ha bisogno di parole chiare e ha una scadenza assai ravvicinata: oggi. Al vertice europeo di Berlino il premier italiano si presenta accompagnato da 22 navi che stanno per sbarcare sulle nostre coste 12.500 migranti recuperati al largo della Libia. È un punto limite, lo ha sottolineato ieri il presidente Mattarella: «Se il fenomeno dei flussi continuasse con questi numeri la situazione diventerebbe ingestibile anche per un Paese grande e aperto come il nostro». Il capo dello Stato ha sottolineato la necessità di trovare il modo di bilanciare i principi di accoglienza con i diritti della nostra popolazione: «il fenomeno va governato assicurando contemporaneamente la sicurezza dei cittadini». Ma l’Italia da sola non può farlo. E la geografia non può scaricare tutto il peso sul Paese più vicino alle coste africane. L’Europa che si mobilitò nella primavera dello scorso anno per chiudere la rotta balcanica, che portava il flusso di profughi e migranti verso la Germania e il Nord, mettendo a disposizione della Turchia tre miliardi di euro, oggi appare vaga e assente. Il nuovo presidente francese Macron, che solo una settimana fa si dimostrava solidale con un’Italia “lasciata troppo sola”, ieri ci ha rispedito indietro un centinaio di ragazzi che avevano osato varcare la frontiera di Ventimiglia. Il nostro Paese, istituzioni e cittadini insieme, si è mostrato fino ad oggi paziente, preparato e dignitoso. Il nostro Paese non ha tradito le leggi del mare e le regole non scritte della salvezza e dell’accoglienza e non può e non deve cambiare rotta. Ciò che deve necessariamente e urgentemente cambiare è il contesto in cui ci muoviamo. Prima che questa diventi un’estate di emergenza, di rissa tra sindaci e prefetti, di scontro tra comuni o regioni limitrofe, di barricate di cittadini inferociti e di perdita di razionalità, l’intera Europa deve fare la sua parte. Stabilendo regole chiare valide per tutti i Paesi e investendo economicamente nell’assistenza (a partire da un reale contributo finanziario per dare sollievo soprattutto ai comuni, su cui ricade il peso principale della gestione dei nuovi arrivati) e nel tentativo indispensabile di governo dei flussi migratori. Vanno combattute le organizzazioni di trafficanti di uomini e finanziati campi di accoglienza gestiti dall’Unhcr in Libia e nei Paesi in cui si snoda la tratta di uomini e donne, a partire da Ciad e Niger. Luoghi dove valutare chi ha il diritto d’asilo e far partire i rimpatri assistiti, prima che comincino le marce nel deserto e le traversate per mare. Perché questa non diventi un’operazione repressiva deve nascere un piano concreto di sostegno allo sviluppo dei Paesi d’origine, che assicuri una speranza di miglioramento di vita. Ma non basta stanziare soldi, bisogna seguire passo passo le iniziative per impedire che i fondi europei ingrassino solo la corruzione di potentati e funzionari. Solo così potremo continuare a parlare di solidarietà e di inclusione, solo mostrando ai cittadini di comprendere le loro paure potremo continuare a sostenere la necessità di integrare i bambini che nascono in Italia da genitori stranieri. Quella legge sullo ius soli in discussione in Parlamento e per la quale ci siamo mobilitati da settimane. Chi vive regolarmente nel nostro Paese e qui studia e cresce deve avere la certezza di un percorso futuro, non deve sentirsi emarginato o rifiutato, ne va dell’avvenire dell’Italia e anche della sua sicurezza. Solidarietà e integrazione sono valori troppo preziosi e vitali per perderli o dismetterli, dobbiamo salvarli e perché ciò possa accadere è necessario alzare la voce — prerogativa che non andrebbe lasciata solo a populisti e xenofobi — e questo lo dobbiamo fare subito. Questa mattina.

Mario Calabresi, La Repubblica, 29 giugno 2017