Il punto dell’ingiustizia

Anna Segre0,08 su cento; una cifra minima, quasi irrisoria. È quanto conta al liceo classico un voto in più in ciascuna materia (al liceo scientifico, dove manca il greco, le cose vanno un po’ meglio: addirittura 0,09). Per capirci: 0,08 è la differenza tra avere 7 o 8 di latino sulla pagella, il valore di un anno di studio, di versioni e magari pure di ripetizioni. Naturalmente quello 0,08 serve solo se sommato ad altri 0,08 riesce a far alzare la media di un intero punto, altrimenti non serve a niente.
Questo vale per tutte le materie senza distinzioni? Certamente, anzi no: religione, che non è una materia obbligatoria e non è oggetto di esame, non conta 0,08; può contare 0, ma può anche anche contare 1, cioè 12 volte 0,08, la differenza tra avere, per esempio, la media del 7 o la media dell’8, tra una pagella di tutti 7 e una di tutti 8. Detto in altri termini: in teoria un cattolico con la media del 7 potrebbe avere, a parità di interesse e di impegno nello studio, lo stesso credito di un ebreo, di un musulmano, di un valdese o di un ateo con la media dell’8.
Come è possibile? Semplice: la media dei voti non determina un punteggio, ma una banda di oscillazione che può variare fino a un punto sulla base di criteri stabiliti da ogni singola scuola; tra questi, la legge prevede esplicitamente che si possa tener conto della partecipazione all’ora di religione. E non è una possibilità puramente teorica: quando, durante gli esami di stato, ho occasione di scambiare due parole con colleghi di varie provenienze, sento parlare di scuole in cui si usa effettivamente questo criterio, senza rendersi conto che in questo modo la religione non vale come le altre materie ma addirittura 11 o 12 volte di più. E ogni volta mi domando come facciano queste scuole a non temere ricorsi. Credo, infatti, dato il modo in cui è concepito in Italia l’insegnamento della religione cattolica e dati i criteri di selezione degli insegnanti, che un allievo non cattolico che si è visto negare il punto perché non frequenta l’ora di religione avrebbe certamente buon gioco a dimostrare di essere stato penalizzato. Eppure, a quanto pare, in quest’Italia dal ricorso facile con i pretesti più inconsistenti, nessuno pare far caso a questa palese e oggettiva discriminazione.
Com’è possibile che noi ebrei, che siamo tendenzialmente abbastanza inclini alla protesta, lasciamo correre da anni un’ingiustizia del genere ai danni dei nostri ragazzi? Forse semplicemente perché non è mai capitata l’occasione di protestare, forse perché i ragazzi ebrei frequentano scuole di buon senso come la mia – che assegna il punto in più a tutti coloro che sono stati promossi a giugno indipendentemente da qualunque altro criterio – o forse perché con gli allievi ebrei i consigli di classe stanno attenti. È possibile, però, che ci sia anche da parte nostra una certa dose di rassegnazione: si può perdere un punto per non aver frequentato l’ora di religione così come si può perdere un punto, o anche più di uno, per il tema d’esame valutato con criteri discutibili, per una traduzione corretta ma giudicata troppo libera, per una tesina che non ha incontrato il favore della commissione. Onestamente, però, credo che sia diverso: gli esami – si sa – sono un terno al lotto e lo sono sempre stati, ma l’ora di religione che vale (per il solo fatto di frequentarla) 12 volte l’italiano, il greco o il latino in un liceo classico o 11 volte la matematica in un liceo scientifico mi pare davvero uno stravolgimento di tutti gli obiettivi educativi e formativi che le scuole si propongono.
E c’è un altro elemento importante: se i consigli di classe con noi stanno attenti, non staranno altrettanto attenti con allievi che certamente non faranno ricorso, immigrati o figli di immigrati. Non sarebbe nostro dovere farci promotori di una generale battaglia di civiltà contro una discriminazione strisciante ma insidiosa che rischia di colpire proprio i più deboli?

Anna Segre, insegnante

(7 luglio 2017)