VERSO ROSH HASHANAH – FOCUS SULL’ANNO Indifferenza
La parola indifferenza ha avuto un peso in questa nostra estate. L’ha avuto nella discussione sulle funzioni pubbliche di un luogo come il Memoriale al Binario 21. Per alcuni in senso proprio, per altri improprio. Ma l’ha avuto anche in altre circostanze. Indifferenza è diventato il termine con cui misuriamo quanto riteniamo sia pertinente o meno l’agire pubblico. Non credo che sia solo un’improvvisa punta di eccesso o l’indicatore di una condizione d’ipersensibilità. E’ stato detto che occorra avere una cultura della memoria o almeno è stata evocata da più parti una riflessione sollecita sulla memoria, sulla comparazione, sul senso del termine soccorso, sul dovere civile di chi ha memoria a non essere indifferente. Altri hanno rilevato invece che avere memoria implichi stabilire dei limiti, o non cadere in un generalizzato indifferentismo. Non mi sembra un buon modo di riflettere sul nostro agire nel presente rispetto a un passato di cui si vuol tenere vivo il contenuto. Nella storia della nostra specie deumanizzare serve a pensare l’altro essere umano incompleto, animale, oggetto. Serve a compiere su di lui azioni inaccettabili in un contesto normale (è il profilo della riflessione che Chiara Volpato, docente di Psicologia Sociale allì’Università di Milano Bicocca, ha proposto nel 2011 in un suo libro – Deumanizzare. Come si legittima la violenza, Laterza). E’ un libro che credo valga la pena leggere. Forse ancor di più dopo le polemiche di questo agosto. Il termine del problema non era se aiutare gli sfortunati, ma come aiutarli e se soccorrere implicava banalizzare il passato. Ho trovato il complesso di quella polemica, inutile, banale, fuorviante. Perché al centro della questione non sta né una defezione rispetto al passato, né l’incertezza sul significato delle lezioni che dal passato provengono, bensì una modalità di ragionamento. Quella modalità chiama in causa come si fa connessione con altri fatti del passato, fondata sulla comparazione (altro termine che inquieta molti). Comparazione non che serve non solo per distinguere ma anche per capire gli elementi comuni. Gli elementi comuni di solito non stanno negli effetti (nel caso delle persecuzioni non stanno nel numero dei morti o per come funziona la macchina della morte di massa) ma per come si producono candidati alla persecuzione e si costruisce una sensibilità (o meglio una insensibilità) dei possibili persecutori di domani. Dove sta quella connessione? Non nella quantità dei morti e nel nella radicalità dei modi in cui si è distribuito morte, ma nelle premesse di quel passaggio. E sono le premesse ciò a cui occorre prestare attenzione. Nelle premesse un posto di rilievo lo occupa il processo deumanizzazione che di solito non è uno sguardo analitico su un individuo concreto, ma al contrario è la costruzione delle caratteristiche astratte attribuite a un gruppo umano verso cui si sollecita una politica di discriminazione (p.e.: i fascisti classificati come topi nel linguaggio di una parte delle sinistre; le zecche per connotare i poveri nel linguaggio dei giovani benestanti;…). Lì risiede il primo passaggio verso la deumanizzazione. È un processo che ci riguarda. Perché non è vero che il passato si ripete se non lo si ricorda, mentre è vero, purtroppo, che il passato si ripete se non lo si capisce. P.S. “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. È il testo dell’articolo 1 della dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Vale ancora, mi sembra. Lo metterei a specchio di fronte alla parola indifferenza.
David Bidussa, storico sociale delle idee
Pagine Ebraiche, settembre 2017