Diario di viaggio
A voi, un piccolo frammento, del mio diario di viaggio.
Allora, è andata così. Mi trovavo a Francoforte, in Germania, la scorsa settimana. Una visita di cortesia, in occasione del matrimonio di una coppia a me molto cara.
Immaginatemi in piedi alla fermata, che aspetto il treno. La kippah in testa, come sempre d’altronde.
Ora, immaginate un ragazzo dai tratti somatici arabi, seduto, che mi osserva minaccioso e mormora frasi a me incomprensibili.
Ecco, è andata pressapoco così. Io che mi scanso di qualche metro; un po’ perché il coraggio non è la mia principale virtù, un po’ perché non intendo dargli il pretesto per attaccar briga e un po’ perché me l’hanno chiesto alcuni amici lì presenti.
Sfrontato e determinato, il ragazzo non demorde: si alza, si avvicina di qualche passo e continua a mormorare con fare minaccioso e, ripensandoci bene, anche un po’ molesto.
A questo punto accade qualcosa di incredibile. Tenetevi forte.
Un’elegante signora si volta verso di lui e, in un tedesco brutale e ben scandito, gli ringhia di allontanarsi da noi. Il tono imperativo non lascia scampo: il ragazzo ubbidisce senza obiettare, si allontana e continua i mormorii dal lato opposto della fermata.
Un sospiro di sollievo. L’elegante signora si avvicina a noi mortificata; si scusa per l’accaduto, si augura che l’increscioso episodio non ci abbia turbato troppo, che non abbia guastato la nostra vacanza (ma si figuri!). Ci garantisce che eventi simili, in Germania, non sono proprio tollerati.
Qualche domanda, alcuni chiarimenti e veniamo a scoprire che il ragazzo non aveva smesso di rivolgerci un fiume in piena di insulti antisemiti nemmeno per un istante, nemmeno per prendere fiato. A quanto pare, secondo lui, io e i miei compagni non avevamo il diritto di stare lì, nella stessa fermata insieme a lui. O, forse, non avevamo proprio il diritto di esistere. Beh, questo dettaglio non era decifrabile dai suoi tediosi mormorii e, sinceramente, in quel momento non ci tangeva nemmeno un po’.
Ci furono ancora un paio di minuti di attesa, poi un treno affollato privo di aria condizionata e la brutta esperienza era alle nostre spalle. Sfumata. Acqua passata. Tabula rasa.
Ecco, la storia potrebbe tranquillamente finire qui, con un “e vissero tutti felici e contenti”, ma da giorni sento l’irrefrenabile bisogno di tirare le somme e trarre qualche costruttivo insegnamento da quanto accaduto.
Dunque ho pensato di farlo qui, insieme a voi. E ci ho riflettuto su, ma per davvero questa volta. Ho cercato di elaborare alcune complicate teorie, un’assurda morale, ma la conclusione che sono riuscito a trarre mi è sembrata talmente semplice e banale da apparire quasi ovvia.
L’antisemitismo non ha cura, non ha rimedio. L’antisemitismo è insito ed ingiustificato. Ingiustificabile. L’indifferenza, invece, sì. L’indifferenza si può combattere, si può contrastare. La lotta all’indifferenza è un germoglio che oggi seminiamo e che un giorno darà i suoi frutti. Ora sì, ne sono assolutamente certo.
È scritto pure nei salmi, leggete: “chi semina nelle lacrime, mieterà nella gioia”. Vedete? È scritto.
David Zebuloni