La Presidente UCEI Di Segni a Ferrara“Integrazione passa da responsabilità”
Abbiamo appena salutato la giornata della Cultura ebraica la riflessione sul concetto di diaspora. Vedo questo momento – la Festa del libro ebraico e il tema di questa tavola – come strettamente collegato e di prosecuzione.
Chi partecipa a costruire il Paese. Cosa vuol dire essere “cittadini”? Cosa vuol dire oggi essere italiani? È una definizione formale, di legge, certamente, ma vi è anche una stratificazione culturale (lingua, tradizioni, folklore, religione). Quanto è destinata a cambiare, o è già cambiata? Come viviamo questo cambiamento?
Cosa vuol dire appartenere e fare parte di un territorio. La storia ebraica – 22 secoli di cittadinanza e partecipazione.
Come ci si integra? Ecco i presupposti:
Riconoscimento diritti fondamentali (anche il dibattito sul jus soli), rispetto dei doveri e anzitutto dei principi costituzionali (che sono, sottolineo, principi che hanno una genesi in un contesto culturale ben preciso),
Identità di valori – ancorché non di culture. Capire che chi arriva oggi arriva da pianeti molto diversi con modelli sociali e di governo molto diversi.
Portare dentro e con sé un bagaglio culturale
Non essere soli – avere un comunità ma non stare in un ghetto.
Smantellare aggregazioni, ma ricompattarne altre.
Senza riconoscere l’identità altrui non si accoglie. Senza identità non si partecipa.
L’obiettivo non è sono essere riconosciuti, tutelati e utilizzatori di diritti ma di fare parte di una collettività capace di dare a sua volta identità al paese.
Senso di responsabilità in prima persona.
La storia ebraica, con l’uscita dalla schiavitù è l’esempio di come componenti di cittadinanza si sono aggregate:
Territorio/popolo/ordinamento giuridico (Israele/popolo di Israele/torà). La vita nella diaspora si è sviluppata e riemersa proprio perché queste tre componenti sono state idealmente re-immesse nel proprio contesto: il riferimento alla terra/la comunità/lo studio.
Se la diaspora presuppone un distacco, violento e subito, l’integrazione nel nuovo luogo presuppone determinazione, studio, disponibilità ed accettazione degli altri ma sempre ricordando di essere se stessi.
Il popolo ebraico ha un particolare rapporto con i libri – è l’oggetto immateriale più identitario che abbiamo e che ci accompagna ovunque. Alfabetizzazione e studio. Alfabetizzazione culturale, ma anche studio e scuola come veicoli essenziali per maturare sicurezza, competenze, partecipazione, contributo, integrazione.
La Comunità e le istituzioni di rappresentanza. Nucleo aggregante con le sue figure tipiche: il rabbino, il parnas, il consiglio, i comitati, ha avuto nelle diaspore la funzione di mantenere assieme gli individui, sviluppando in un nuovo circuito le tradizioni preziosamente trasmigrate. Ricordiamo quest’anno il trentesimo anno dalla firma dell’intesa con lo Stato italiano e l’affermazione dei diritti degli ebrei italiani non solo come individui ma anche nelle loro aggregazioni comunitarie e nelle rappresentanze istituzionali. Un esempio forse unico nell’Europa tutta sul quale riflettere seriamente.
Contributo degli ebrei italiani all’Italia: artisti, architetti, presidenti di squadre di calcio, politici, sindaci, combattenti nelle guerre che portarono all’unità d’Italia e poi la prima guerra mondiale, rabbini e cabalisti, ministri, cittadini comuni. Poi ancora il contributo degli ebrei che con il patrimonio culturale e scientifico “italiano” hanno sviluppato Israele – con e arti, l’ingegneria, l’architettura, il giornalismo.
Azioni:
Cosciente delle difficolta che attraversa il nostro Paese, apprezziamo lo sforzo con il quale vengono salvate vite umane, credo che la sfida vada affrontata con questo approccio:
non proclami di buonismo e di umanitari
consapevolezza, lucidità, capacità di comprendere il contesto geopolitico di provenienza e impatto sull’Europa.
nella chiarezza del ruolo e delle responsabilità degli organi dello Stato un compito importante spetta alle istituzioni religiose. Qual è in tutto questo il ruolo delle religioni? Dare prova di essere capaci di essere non religiose. Di coltivare non solo un dialogo che non ha una finalità di dibattito confessionale, ma di mostrare che si è capaci di definire un proprio spazio che riconosce contemporaneamente lo spazio altrui.
Questo concetto è ben espresso in un passo lettura appena fatta ieri: Deuteronomio cap. 30 (Parasha Nizavim)
11 perché questi precetti ch’io ti comando oggi non ti sono occulti, né lontani.
12 Non sono in cielo, onde tu abbi a dire: Chi mai salirà per noi in cielo, e li piglierà per noi, e ce li farà udire, perché possiamo eseguirli
13 Né sono oltre mare, onde tu dica: Chi passerà per noi oltre mare, e li prenderà per noi e ce li farà udire, acciocché possiamo eseguirli
14 Ma la cosa ti è molto vicina: tu l’hai nella bocca e nella mente, per poterla eseguire.
19 Chiamo oggi a testimoni il cielo e la terra: la vita e la morte ti posi innanzi, la benedizione e la maledizione: scegli dunque la vita, onde viva tu e la tua progenie.
Ecco scegliere la vita è un comando. Questo ha caratterizzato la vita ebraica nei secoli nelle diaspore. Vivere non solo nel senso fisico di “sopravvivere” ma avere attraverso la propria identità.
Chiudo con una riflessione e auspicio per l’anno 5778 che è alle porte.
Nella festa che stiamo per celebrare viene comandato che sia un giorno di Terua – di chiamata a raccolta e con il suono dello shofar – scuotere e riflettere su chi siamo e cosa abbiamo fatto nell’ultimo anno.
La festa si chiama “Rosh Hashanà” tradotto: inizio dell’anno. Ma la parola Rosh – significa ancor più letteralmente “testa”. L’anno che si avvia deve esser espressione di un pensiero – una visione – una volontà che guida il nostro agire. Come persone e come Istituzioni. Con cuore e consapevolezza, con coscienza e fermezza.
Un inizio che rappresenta l’assoluto e profondo momento di riflessione esistenziale, sui nostri comportamenti e le nostre responsabilità. Un’introspezione che caratterizza tutte le preghiere di queste giornate.
Le preghiere si leveranno affinché il passato non ritorni ciclicamente. Per metterci al riparo da un nuovo possibile Medioevo delle coscienze, diverso nelle forme ma potenzialmente ancora più distruttivo.
Non è una preghiera solo ebraica, è una preghiera universale.
Non è rivolta solo al nostro D-o ma anche agli esseri umani che hanno un cuore.
E allora l’augurio che noi rivolgiamo a tutti per l’anno 5778 quasi alle porte è che sia all’insegna dell’unità tra i popoli, di una maggiore concordia e collaborazione tra le diverse anime delle nostre società. Che si possa assieme trovare la forza per agire e reagire, e la serenità per condividere i piccoli e quotidiani momenti di vita in sicurezza e libertà.
Shanà Tovà,
Noemi Di Segni
Presidente UCEI