BIOGRAFIE Bazlen lo scrittore che non scrisse, un nomade della Mitteleuropa

bobi-bazlenCristina Battocletti / BOBI BAZLEN / La nave di Teseo

Si può parlare bene di un libro iniziando con una critica? «Meglio dire troppo poco che troppo, non per un basso calcolo di effetti, ma perché in realtà il meno è sempre più plausibile, più suggestivo e più vivo del più». Così scriveva e così avrebbe detto a Cristina Battocletti Bobi Bazlen se avesse letto il suo libro. Un libro davvero benemerito per la quantità di informazione che fornisce su Bobi, una sorta di mappa particolareggiatissima (dunque lodevolissima) che registra tutti movimenti, i colloqui, i pensieri i sentimenti, le provocazioni del suo biografato che era un uomo movimentatissimo, ricercatissimo, attivissimo, un gran provocatore, generoso e dispettoso correndo il rischio (la Battocletti) di rendere difficile al lettore di tenere in mano (e dunque di confondersi) gli infiniti fili che gli propone. Di Bobi Bazlen noi sapevamo tutto ma non sapevamo niente, ora sappiamo tutto ma con rischio di indigestione. Ci era nota la leggenda di un uomo coltissimo nato a Trieste dove era stato studente nella scuola tedesca, un letterato finissimo al quale non sfuggivano le qualità di un’opera (tanto più se nascoste), uno scopritore di talenti, uno «scrittore che non scrive» ma un punto di riferimento (una sponda) per chiunque scrivesse (pronto a fornire incoraggiamenti, suggerimenti e correzioni), gran lettore di libri «diversi» (ancora sconosciuti agli editori e lettori italiani quali Kafka e Musil), uno studioso di cultura avanzata, l’inventore della casa editrice Adelphi. Ora, a lettura fatta, sappiamo che era un devoto di astrologia e esoterismi, che non sopportava Trieste (anche per il peso ossessivo dell’amore materno) da cui non tardo a fuggire spargendosi tra Genova, Milano, Firenze Roma e le altre città piccole e grandi d’Italia (e non solo), che era un nomade ebreo ma convertito al protestantesimo, che aveva una grande ammirazione per Montale (al punto di impegnarsi a raccogliere le prenotazioni che avrebbero permesso alla casa editrice di Piero Gobetti di pubblicare gli Ossi di seppia), che giovanissimo frequentava Saba (aiutandolo a spostare virgole e misurare aggettivi), che aveva scoperto (a suo convincimento) Svevo, che aiutava Quarantotti Gambini a scrivere capitolo per capitolo L’onda dell’incrociatore e che lo stesso aveva fatto con lo scrittore Mattioli. Ma anche che non amava Saba e che di Svevo diceva che «non aveva che genio: niente altro. Per il resto era stupido, egoista opportunista, gauche…». Che non si risparmiava in critiche, spesso cattiverie e qualche bugia sempre difeso da Solmi che con somma eleganza definiva Bobi «un eterno studente, folletto, enigmatico passante sulla terra». E molte altre cose sappiamo che giacciono come un groviglio nella mia testa e che non posso (come vorrei) sgrovigliare e raccontarvi anche perché ho esaurito (e forse superato) le righe che il giornale mi ha concesso. Vi racconterei della psicanalisi, di Weiss (freudiano) e di Bernhard (junghiano), delle tante donne che ha incontrato e ammirato, della sua fama di distruttore di coppie (coniugali), di Iijuba che ha amato per tutta la vita, della sua ricchezza (dilapidata per generosità) e poi assoluta indigenza, della sua ghiottoneria e poi diete sempre più lambiccate, delle sue malattie sempre più gravi fmo alla morte a poco più di 60 anni. Della sua morte pianta dai restanti ma anche del compiacimento manifestato di altri.

Angelo Guglielmi, La Stampa TuttoLibri, 23 settembre 2017