MISTICA Antidoto per vincere Babele
I.Adinolfi, G.Gaeta, A.Lavagetto (a cura di) / L’anti-Babele / Il Melangolo
«La mistica è l’anti-Babele; è la ricerca del parlare comune dopo la sua frattura, è l’invenzione di una lingua “di Dio” o “degli angeli” che copre la disseminazione delle lingue umane». Questa suggestiva frase di Michel de Certeau introduce a un volume a più mani nato da un proposito ambizioso: raccontare e spiegare l’evoluzione della mistica dal tardo-antico all’epoca contemporanea. Ampliando lo sguardo non solo a quella di chiara ispirazione religiosa ma anche alla mistica che, nella modernità post-cristiana, si apre alla scienza e soprattutto all’arte e alla letteratura. E suggerendo l’ipotesi che proprio alla mistica tocchi «resistere sulle macerie» di un «cristianesimo in frantumi» per interrogarsi sull’esistere in questo tempo. La mistica nasce dalla tradizione apocalittica ebraica e dal neoplatonismo, privilegiando la via soggettiva dell’unio mystica, dalla connotazione fortemente filosofica e dall’esito solo in parte religioso. E con lo pseudo-Macario si apre anche alla riflessione sui modi dell’esercizio nella chiesa di un’autorità carismatica fondata sull’esperienza mistica, riconosciuta come superiore a quella sacramentale. Sulla svolta dell’età moderna è importante il pensiero di de Certeau, che considera la mistica punto ideale per riflettere sulle tensioni fra teologia e religiosità. Alla fine del Cinquecento, infatti, la mistica diventa percorso di riappropriazione interiore della dottrina comunitaria e apre una via soggettiva a Dio, marginale rispetto alle istituzioni. Passando, scrive Henri de Lubac, dall’approfondimento della fede all’approfondimento di sè. Se per Pascal la rivelazione mistica doveva ricevere conferma dalla rivelazione scritturale, Kierkegaard la considera una via per comprendere di non poter comprendere. Secondo Troeltsch la mistica è al cuore di ogni religione, anche se oggi il misticismo si è reso indipendente dall’istituzione ecclesiastica, divenendo un principio religioso autonomo. Il pericolo conseguente, ricorda lo studioso, è che al di fuori della comunità venga compromessa ogni autentica dimensione religiosa. Nel Novecento la mistica abbandona la trascendenza, diventa esperienza estetica, scientifica, letteraria: l’arte si sostituisce a Dio. Per Jaspers è un’esperienza unitaria e totale, che però porta lontano dalla fede: il mistico infatti non crede, ma sperimenta la verità. In Panikkar la mistica coincide con la filosofia radicale, sull’esempio di Wittgenstein. La voce in fondo più religiosa è quella di Simone Weil, che vede nell’esperienza mistica la compresenza di un aspetto personale e di uno impersonale, che sancisce la presenza di Dio. In questa ricca raccolta di stimoli, offerti da autori competenti, mancano però un approfondimento sulla differenza fra l’esperienza mistica femminile e quella maschile, molto evidente nella tradizione cristiana, e almeno un cenno di comparazione con altre religioni (se non quelle di matrice indiana). Ad esempio con la mistica islamica, iniziata da una donna, Rabi’a, e che porta a un avvicinamento esperienziale al cristianesimo.
Lucetta Scaraffia, Il Sole 24 Ore Domenica, 24 settembre 2017