Torino – Un anno per la scuola

37356655172_9144425c5c_oCome sottolinea lo Sfat Emet, uno dei temi centrali di Rosh Hashanah è il cambiamento. Nel giorno di Rosh Hashanah tutto sembra possibile: Yosef esce di prigione, Sarah non è più sterile, finisce la schiavitù d’Egitto. Per me questo Rosh Hashanah ha segnato il passaggio dalla consulenza risorse umane e le scuole di management (formazione, coaching, organizzazione, consulenza strategica), alla direzione della Scuola Ebraica di Torino, una realtà vivace, caratterizzata dalla qualità della didattica e dall’attenzione offerta ad ogni allievo, in cui non mancano, naturalmente, le complessità da gestire. Ma nulla accade per caso e, dopo aver contribuito allo sviluppo di diverse organizzazioni pubbliche e private, ora ho l’occasione di mettere a frutto la mia esperienza e le mie competenze in ambito comunitario. Nel prepararmi ad affrontare le sfide del nuovo ruolo ho cercato di prendere spunto dal periodo festivo che stiamo vivendo. Dall’eterea spiritualità di Rosh Hashanah e Yom Kippur in cui, secondo alcuni, ci “travestiamo” da figure angeliche, siamo ormai arrivati a Sukkot che sembra ripor- tarci alla concretezza del mondo terreno e prepararci al rientro nella quotidianità della vita ordinaria. Se Rosh Hashanah rappresenta il nostro venire al mondo, o la nostra ri-creazione e quindi anche il nostro collegamento con le nostre radici, i nostri valori più profondi e la nostra storia, a Sukkot impariamo a stare insieme nella sukkah, accogliendo la diversità di ciascun individuo; rimaniamo in piedi tenendo in mano con fierezza le “risorse” che D-o ci ha concesso, come interpreta S. R. Hirsch la Mizwah del Lulàv e, anche se siamo pienamente in contatto con la fragilità dell’esistenza (la sukkah), tuttavia dichiariamo che si tratta del “tempo della nostra gioia” (zeman simhatenu). Così ci prepariamo all’ingresso nella vita di tutti i giorni. Questo, credo, è ciò che dovrebbe contribuire a fare una scuola ebraica: creare dei legami profondi con i nostri valori e le nostre radici, favorire la consapevolezza dei nostri limiti ma anche del potenziale straordinario di cui siamo portatori, insegnare a stare insieme nel rispetto dell’altro e a capire che la “simhà” (gioia), più volte menzionata dalla Torà, è qualcosa che coinvolge sempre anche il prossimo, in particolare coloro che rischiano di rimanere ai margini della società. In sintesi: preparare gli studenti a vivere la vita con pienezza, assumendo la responsabilità dei propri talenti. Si tratta certamente di un progetto ambizioso, che per la sua realizzazione ha bisogno del contributo e del supporto dell’intera Comunità. È una responsabilità collettiva.

Mo’adim le Simhà

Marco Camerini, direttore Scuola ebraica di Torino

(Testo pubblicato sul notiziario della Comunità ebraica di Torino)