9 ottobre, Roma non dimentica

“Un gesto vile contro la città di Roma, simbolo di tolleranza e di accoglienza, e contro l’intera Italia. Fu un crimine contro l’umanità”.
In un messaggio inviato alla Comunità ebraica romana il capo dello Stato Sergio Mattarella ha ricordato così l’attentato al Tempio Maggiore del 9 ottobre 1982. Una ferita ancora aperta, ricordata come tale nel 35esimo anniversario da quei tragici fatti nel corso di una cerimonia apertasi questa mattina con la deposizione di una corona in ricordo del piccolo Stefano Gaj Taché, vittima a due anni dell’odio antisemita, e proseguita con un incontro nella scuola ebraica della Capitale.
“Eravamo soli quel giorno” ha affermato il vicepresidente della Comunità Ruben Della Rocca nel suo intervento introduttivo. “Ancora oggi sono troppi gli interrogativi, ancora oggi troppe le responsabilità non accertate. Bisogna che gli armadi secretati vengano aperti” la richiesta formulata al riguardo dalla presidente Ruth Dureghello. Fermo il suo appello: “È ora di finirla con questi tabù”. Di Memoria essenziale per l’esercizio della democrazia ha parlato la sindaca Virginia Raggi, la prima a intervenire sul palco della scuola. “Roma non ha mai dimenticato quel giorno, non ha mai dimenticato e mai dimenticherà il nostro piccolo Stefano” il suo messaggio alle molte centinaia di studenti in sala. Sulla stessa lunghezza d’onda l’assessore regionale Lucia Valente: “Siamo qua per lanciare un messaggio contro l’odio e la violenza. Saremo per sempre al vostro fianco”.
Osserva il rabbino capo Riccardo Di Segni: “L’attentato ha segnato uno spartiacque nella storia di questa città e Comunità. Nei giorni precedenti abbiamo vissuto l’isolamento e un crescendo di ostilità mediatica. Infine, inermi abbiamo assistito a questo scempio.
I giovani della Comunità ascoltano attenti, insieme ai diversi rappresentanti istituzionali presenti tra cui la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni e l’ambasciatore israeliano in Italia Ofer Sachs. In prima fila anche Abdellah Redouane, segretario generale del Centro islamico culturale d’Italia della Grande Moschea di Roma. Una presenza che non passa inosservata.
Salgono poi sul palco due testimoni diretti di quelle ore drammatiche: Gady Tachè, fratello di Stefano, oltre 30 operazioni per tornare a una vita normale; e il rav Benedetto Carucci Viterbi, anche lui ferito nell’attacco.
Spiega Gady: “Il ricordo di mio fratello è sempre con me, ogni giorno. La mattina quando mi alzo, la sera quando vado a dormire. Non se ne esce mai, anche se ho imparato a conviverci. E questo grazie soprattutto alla mia famiglia e alla musica”.
Emozionano anche le parole del rav Carucci, che racconta la sfida di trasmettere oggi ai giovani messaggi forti che mettano al riparo da odio e pregiudizio. “Conoscenza e sentimento: queste – riflette – sono due componenti fondamentali per dare senso a questo impegno”.
A moderare i loro interventi il giornalista Paolo Conti.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

(9 ottobre 2017)